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lunedì 12 settembre 2011

A tempo perso

corvo_rutiglianol




C'è stato un momento della mia vita in cui vivevo davvero con la macchina fotografica, quella a pellicola.

Avevo una Pentax P30T manuale, qualche obiettivo, un paio di Metz a torcia, un cavalletto, una Fiat Uno 45, diciannove anni, molto tempo a disposizione e nessuna preoccupazione per il futuro se non i drammi esitenziali tipici dell'età.



Mi piaceva fotografare le persone, discretamente. Usavo le pellicole bianconero ad alta sensibilità, per svanire dietro un teleobiettivo, o ritrarre i piccoli movimenti delle ombre, nelle luci della sera. Adoravo Henri Cartier-Bresson, ed ero convinto che il taglio della fotografia donasse alle persone quell'alone di perfezione che trascende la realtà. Un po' come la musica nella Nausea di Sartre.



Oppure aspettavo che mietessero il grano sulle colline lucane, e poi bruciassero i campi. E l'odore del grano bruciato, di pane, di natura, di ricordi ancestrali: valeva la pena di arrivare fino lì.



C'era pochissimo Photoshop, anzi, per nulla. C'era la ripresa, lo scatto, la composizione, l'esposizione. Avevo un set completo di filtri da applicare PRIMA di scattare una foto.



C'era la camera buia. E il contrasto con la qualità della carta, del viraggio, della mordenzatura. E sapevo calcolare il tempo di stampa giusto guardano il negativo. Come quando si assaggiano gli spaghetti e si pensa: tra venti secondi sono perfetti.



A sapere che mi sarei guadagnato da vivere così, magari, avrei perso meno tempo.



Perchè le cose da cogliere sfuggono. E, spesso, non ritornano più.



Il resto è marketing.


giovedì 1 settembre 2011

Pausa pranzo


pausa_pranzo

 



Pausa pranzo. Oggi.



Sono anni che ci passo davanti. E non mi sono mai fermato.



Tre cancelletti, tre lucchetti. Non so quindi per chi o per cosa apriranno mai questo posto.



Dovrebbero aprirlo per la memoria.



Sembra un video di The Final Cut dei Pink Floyd, Waters che ricorda tutti gli orrori della guerra, e i sogni di grandezza infranti.



Cantava: "Tieni duro, John, dobbiamo continuare così!".



Già.



E a voler togliere i cipressi, le bandiere, i cannoni... questo resta.



E questo caldo insopportabile, la luce in perpendicolo.



E sarebbe davvero il caso di impacchettare i fantasmi del passato, gli orrori, gli errori che tornano negli incubi (perchè dura il tormento finchè dura la colpa, diceva Borges), perchè appunto, alla fine, questo resta.



E non c'è manco un fiore.


giovedì 12 maggio 2011

Tentazioni

forchetta

Ci sono i grandi drammi del mondo, le cose inspiegabili che accadono nella nostra vita e, naturalmente, gli "accidenti" o "incidenti", quelle cose che oltre a non sapermi spiegare, non so neanche prevedere.



Ma vogliamo discutere della parmigiana di melanzane?



(Foto AP, forchetta galeotta. La parmigiana di melanzane, come una brava massaia, l'ho preparata ieri sera. Ed è fuori campo. Per poco, troppo poco.)

giovedì 5 maggio 2011

Finzioni

rosaromal




Sarà... ma certe volte ho l'impressione che siamo davvero noi ad immaginarci tutto... come se quando abbiamo fatto certe cose, certe scelte, quando abbiamo vissuto situazioni abbiamo avuto davvero il prosciutto davanti agli occhi.



Perchè a voler vederle da una certa distanza.... son come le rose rampicanti.



Sottili, eroiche... e maledettamente lontane.



(In realtà son tutti discorsi miei... "certe cose", "certi eventi", "certe situazioni". Meglio non dire. Però mi sarebbe piaciuto esserci in altra forma... per prendermi a calci. Ma alle soglie dei quaranta è bello volere così bene al proprio passato. Calci compresi. Del resto, poteva andarci anche peggio, tipo che avrebbe potuto piovere.)



(Rose rampicanti a Roma, fuori Santo Stefano Rotondo. 2003. Che era meglio stare da un'altra parte... che è stato come per gli Americani andare in Vietnam: alla fine ci si è rimesso... e ci si è fatti solo un sacco di film.)


sabato 26 marzo 2011

Di Grande Teatro

ppio

Quando ero più giovane ero sostenitore delle architetture pure. Mi piaceva l'idea di Brasilia, la città costruita dal nulla direttamente nel futuro.

Oppure immaginavo Madre Natura riprendersi le città ricoprendole di rami e piante.



Poi ho scoperto il reportage, il raccontare le emozioni attraverso i tagli nella visione delle persone.



Ma un teatro è davvero grande se l'opera è perfetta con i propri spettatori. Che diventano teatro a loro volta.



Qualcuno disse E=mc².



E tutti furono felici e contenti.

venerdì 25 marzo 2011

C'è Tempo

reggio03

"Dicono che c'è un tempo per seminare

e uno più lungo per aspettare

io dico che c'era un tempo sognato

che bisognava sognare."

Ivano Fossati, C'è tempo.



Reggio Calabria, Lungomare.

Sfondo, Sicilia.

Nuvole di Nostro Signore.



L'HDR, a dispetto di Photoshop, è mio.



E uno può scegliere se incazzarsi per aver atteso due ore l'apertura di un negozio per non vendere nulla, o di aver avuto la possibilità, il tempo e la voglia di guardare un poco più in là.



(Alle spalle, i palazzi del lungomare di Reggio, ricostruiti in stile liberty dopo il terremoto del 1908. Se da una disgrazia comunque la vita rinasce, chissà cosa faranno in Giappone.)

martedì 22 marzo 2011

Quante vite hai vissuto?

campo_dei_missili2

Tre, no, no, quattro.



(Foto AP, Campo dei Missili, poligono abbandonato nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia. Oggi dicono sia coltivato a frutta. Fantasia. Così come tante parole in questi giorni.)

venerdì 18 marzo 2011

I cancelli della memoria | gates of memory

gatesofmemory

Ciao Marcel(*)!

(Gesto dell'ombrello)



(Commento molto legato al post precedente. Effetti deleteri della colla vinilica, probabilmente.)



(Ma che belle foto fa il Nokia. Più che altro, con che tempismo!)

--



(*) dedicato all'autore della Recherche, il "tempo perduto" della mia estate della terza liceo.

giovedì 17 marzo 2011

Archetipi



workplace


Una foto dello studio in cui passo parte delle mie giornate e che, da un certo punto di vista, è un archetipo di un certo mio modo di essere.





Entriamo del dettaglio (questo post è una specie di sputtanamento. Con me stesso, innanzitutto).





Ovviamente è una specie di loft. Un mega magazzino. Un antro laboratorio. Se non fosse per la pompa di calore sopra di me d'inverno e un provvidenziale megaventilatore d'estate, sarebbe invivibile.





Sessanta metri quadri. Se fossi single, ci metterei la branda, e buonanotte.





(Da sinistra)





Parte di gonna di abito da sposa, appeso. L'altezza del locale consente lo stoccaggio temporaneo senza che le code tocchino per terra.



Io con la sposa ci sono nato. Mia nonna ha cominciato nel '22 (millenovecentoventidue, un secolo fa), a giocare con i ghingheri. Produceva fiori di seta e tante altre cosettine carine.



A quattro anni mi aveva insegnato a montare le rose.



C'erano dei pistilloni enormi fatti d'ovatta, filo di ferro e colla vinavil annacquata che facevano da centrale. Poi si montavano i petali, tranciati con la seta, col raso, con l'organza e poi formati a caldo con gli stampi di bronzo e i torchietti a mano. Nonna mi raccontava che prima della pressa a maglio i petali si tranciavano su un ceppo a mazzolate. E c'era un operaio, Nicola, una specie di troll alto un metro e cinquanta ma largo tre, con le braccia di un metro di diametro l'una che mazzolava dalla mattina alla sera. E poi modellava i piedi dei portafedini col filo di ferro... sui pollici. E la dimensione era impressionante. Per non parlare della precisione. Nicola aveva l'hobby del ferro battuto. S'era fatto le inferriate di casa sua, e una bellissima aquila. E io me lo immaginavo mentre lavorava, che batteva il ferro a caldo, che fondeva... e nella mia mente di bambino me lo figuravo più o meno come Vulcano che forgia le spade dei semidei.



Due petali per il bocciolo, due per la corolla, uno a rovescio per creare contrasto, un baffetto o ragnetto di organzasvizzera (Nonna diceva "organdisvizzero", tutto una parola, che pareva Gustav Toheni, ma diceva anche "sterl" per "stereo" e "compiurtl" per "computer", una sorta di gergo dissacrante, la propria autodifesa ironica contro le inside della modernità).



Un goccetto di colla su ogni petalo, e il montaggio avveniva delicatamente come un dolcetto in pasticceria. Oltre l'odore di quella colla, quella leggera ebbrezza quasi alcoolica, quel profumo di "fare" che mi accompagna ora ogni qual volta lo senta. E giocare con le dita, con la colla e le dita, senza paura di sporcarsi perché Nonna ti diceva: basta che non ti metti le mani in bocca. (Che come norma di comportamento ha una certa validità generale.)





Sfondo nero. Studio fotografico con set semi-pronto.



Io la fotografia l'ho conosciuta a 18 anni. Comprai una Pentax P30, una dozzina di pellicole, e partii per una inter-rail di un mese. Io, lo zaino, la Pentax, il manuale. E sperimentai persino le pose B, persino di giorno, con le persone che sembravano ectoplasmi sullo sfondo fermo, o di notte, per fotografare i menhir a Carnac, sotto la luce della Luna, un sasso come cavalletto e il pollicione come scatto flessibile.



Poi, al contrario dei facebookisti che fotografano se stessi in pose sempre uguali e sempre ridicole, io di foto mie ne ho davvero poche.



Ma scatoloni e scatoloni di foto d'altro e d'altri.



Cronache e racconti.



Perché fotografare può essere sia raccontare una storia che accade, sia raccontare una propria storia attraverso il taglio delle storie che vedi.



Quelle costruite, le faccio per lavoro. Ma quello è altro.



Qualche volta ho immaginato un elmetto, un paio d'occhiali, una cosa impiantata nell'occhio che mi permettesse di fermare i particolari lì dove si posasse il mio sguardo.



Altre volte ho lasciato che queste immagini, senza macchina, fossero fotografate unicamente nella memoria. Salvo poi ripescarle per raccontare qualcosa, o riconoscere l'analogia in quanto stia vedendo ora, di quanto sia sotto gli occhi, come se avessi un libro di profezie.





Il mezzo manichino e il poster controluce con modella.



Io con le modelle avevo un rapporto conflittuale.



Ma solo perché non avevo capito ben bene l'utilizzo del mezzo (la modella è un manichino evoluto) e avevo una concezione romantica della fotografia, il feeling che doveva crearsi tra soggetto e fotografo, tutte cose che avevo imparato degli scritti di Cartier-Bresson.



Ma non dovevo raccontare la guerra civile.



E poi, essendo un generoso, ero solito abbinare alle belle fattezze anche un certo piglio intellettuale.



Ma se una donna è silenziosa, non è per forza misteriosa. Può anche non avere un benamato nulla da dire.



Soltanto che all'inizio a parlarci con uno di questi curiosi esemplari umani non ero quasi mai solo, ma accompagnato da due rumorosissimi compari, Testo e Sterone, due lestofanti che mi traviavano dalle velleità sicuramente artistiche, tutt’al più sentimentali. Mai comunque eccessivamnete lubriche.

Un'infanzia difficile, ai parametri d'oggi, possiamo vantarla tutti. E il conseguente desiderio di riscatto.

Basta spostare un po' l'attenzione su se stessi e non si ha più il bisogno, per avere qualcosa di decorativo al braccio, di una bella tricotillomane. Al limite, si investe su un orologio di marca che, oltre ad essere un bene durevole, risponde anche ad alcune delle domande fondamentali dell'ontologia: che ora è, che giorno è (e da qui si capisce davvero la profondità di Mogol/Battisti e il loro passo avanti nei valori della modernità).



Poi è stato facile divertirsi a guardare assistenti ed amici fare commenti sui soggetti, subendo idonee ritorsioni da parte delle legittime. Perché nulla agli uomini è permesso, neanche la fantasia.



Com’era? Pensieri, parole, opere ed ommissioni. Che ora si pecca più d’ommissioni che di altro, a pensarci bene.



Ma tralasciamo. E parliamo del controluce, che brucia i particolari e conferisce alla scena un quadro con un tocco di divino. Oppure, come raggi X, svelano le velleità, le piccolezze, le meschinità (E che ho detto prima? che son gli uomini meschini, mica gli Dei).





Tavolo ingombro.



E’ una mia carattteristica. Riempio superfici orizzontali.



Così mi definì una mia ex fidanzata che pare faccia l’architetto. “Tu hai bisogno di superfici orizzontali da riempire”. E lì Testo e Sterone fecero battutacce travianti, come sempre. Ed io, davanti a cotanta conoscenza, rimasi incantato. In realtà, ci sono manuali e manuali, e un paio d'esami su come sparare queste frasi ad effetto. Quelli del CePu hanno una specie di Baci Perugina con le cartine con le frasi ad effetto. In ambo i casi vanno direttamente in parcella.



La mia bambina me lo ripete gratis ogni giorno, invece.



Pare che sia sintomo d’intelligenza. Di capacità d’analisi. Me ne fotto. E’ mancanza di disciplina, al limite. Non avrò la capacità d’ordine maniacale del serial killer, e ne sono contento, ma non ho mai visto uno che non fosse miliardario di nascita essere così casinaro.



E poi, si sa, la caratteristica fondamentale del truffatore è quella di avere le proprie cose ordinate. Per sguazzare nel casino altrui.



A diciotto anni avevo una Fiat Uno, talmente improbabile che la chiamai Heisenberg. E il capello incolto.



A ventiquattro mi calai una bellissima duemila superaccessoriata. E un completino di grisaglia grigio in stile D’Alema.



I capelli rimasero incolti.



Le quotazioni salirono.



Del resto l’ordine è la giustificazione della schiavitù. Ma fa sempre una bella impressione.





Lo scaffale e l’appenderia.



Sono la salvezza. Ordine rapido e tutto sotto controllo. Ma occorrono i grandi spazi.





Stampante Canon.



E qui comincia la parte informatica. Non presenti nella foto, per ragioni squisitamente ottiche: portatile, casse, secondo monitor, hub, mouse, hard disk esterno, pila di documenti, portaschifezzerie vario (ex portapenne), svariati cellulari.



Che uno piano piano da questo marasma comincia a venire fuori e a prenderne le distanze.





Perché uno poi alla fine con la virtualità ci gioca.





Perché, diciamolo, la Recherche, in fondo, ha tante cose in comune con Facebook.





(La vera cosa bella, è che non saprete mai cosa c’è dall’altra parte della stanza).


venerdì 1 maggio 2009

E' stato un pregevole banchetto

L'amore e l'amicizia hanno radici comuni.

Chi mi parla di passione, di irrazionale passione, perdonatemi, rischia di prendere cantonate e anche serie.

Sia in uno, che nell'altro caso.

L'amico o l'amante, se riempie un vuoto, una mancanza, una crepa del nostro io o è una proiezione del nostro voler essere qualcosa che non siamo, o che desideriamo (o, al contrario, desideriamo non essere, questo è il massimo dell'assurdo), in un gioco quasi perverso di associazione tra carnefice e vittima, non è sano.

E' amore malato.

E' amicizia malata.

E questi amori malati, queste amicizie malate tornarno, si ripropongono, così, senza spiegare perché e come non ci siano stati per qualche o per molto tempo.

E si ripropongono così, di forza (o perché siamo stati noi stessi a desiderlarle), proprio perché quelle mancanze, quei vuoti, quelle crepe noi, col tempo, con l'esperienza, con la forza, con la volontà non le abbiamo colmate.

Oppure, magari, no.

Magari il tempo ci ha insegnato, innanzitutto, ad essere amici e amanti di noi stessi.

A comprendere, analizzare, a guardarci da fuori, a vederci tondi, completi.

Magari, saggiamente, anche a prenderci un po' meno sul serio.

E abbiamo fuso l'amicizia e l'amore.

E abbiamo preteso che la nostra donna sia innanzitutto la nostra migliore amica, perché magari la passione passa, perché si chiama appunto così... l'amicizia, vera, l'affinità, resta.

E non si ripropone così da un giorno all'altro.

E l'amicizia diventa come l'amore: selezionata, ristretta, perchè, diciamolo, il cuore non ha tutte queste stanze.

E profondamente sentimentale, e profondamente razionale.



Oggi è stato un pregevole banchetto.

E' tornato un amico di ieri.

E, se l'intelligenza è rimasta viva, e qualche ruga ha solcato i nostri visi, il piacere di ritrovare l'affinità è stato grande.

Ma ancor più grande è stato il raccontarsi, lo spiegare, a cuore aperto, il perché dell'allontanamento, di come si era allora, delle battaglie che si è combattuto per tornare a riempire le crepe dell'io e ammettere gli amori e le amicizie malate.

E a curare non loro, ma sé stessi.

E non a tornare sui propri passi, ma ritornare a cercare una affinità, e se e come questa affinità si sia evoluta.

E ci si ritrova allo stesso luogo dopo aver percorso lunghe e perigliose strade diverse.

Così mi piace.

E' stato davvero un pregevole banchetto.



domenica 22 marzo 2009

L'insostenibile leggerezza dell'essere.

Cominciare non è facile. Perché si parla dell'intimo.

Perché è percorrere una strada complicata, tutta all'indietro. Io non so quanto vera, perché si perde nella nebbia dei ricordi. Ma il sospetto della verità c'è. Anche perché, credo, mi permetto di guardarla da una certa lontananza, come il viaggiatore si volta indietro e abbraccia in un solo sguardo, raggiunta la cima, la strada infinita percorsa per raggiungerla.



Ora, esiste un essere, un essere sè stessi che si evolve, uno che si raffronta al mondo, uno invece primigenio, intimo. Non voglio fare il Freud de' noartri, ma sembra proprio quell'io primigenio a combinare casini e, al contempo, a renderci felici.



Combina casini quando si nasconde, e il nostro cosciente (che è quello che i casini li combina davvero) a non riconoscere quello che ci fa stare davvero bene e si incanta, si confonde, sceglie le direzioni sbagliate.



Segue lo zucchero, in poche parole.



E' un gioco di ricorsi, di errori, di cadute, di false vittorie. Segui un percorso contorto, solo alla fine per ritrovare te stesso.



All'inizio sei una mente libera, intelligente, eclettica. Frequenti altre menti pari alle tue, ti confronti, ti migliori. Poi proprio questa fiducia in un certo modo di essere ti fa confondere. Per un po', ma tanto basta.



Ti confondi. E incolli i tuoi desideri, i tuoi modi di essere, la tua sincerità, il tuo bisogno d'amore pari pari a qualcosa, qualcuno che assomiglia a quello che ti fa star bene. Ma ne è solo l'immagine, una proiezione, un gingillo.



Oppure, anzichè decorare il tuo polso con un bel bracciale, lo adorni con una compagna che, in realtà, non c'entra nulla con la tua vita... la adorni delle attenzioni che merita l'intelligenza, che merita la costanza, che merita la lealtà.



In realtà, invece, ti stai ingannando. E non è colpa dell'altro. Che magari non t'ha cercato. Sei tu che sei andato spada tratta alla conquista.



Poi ti compenetri nel suo mondo. E perdi tempo. Perché perdi il tuo.



Perché non sei egoista.



E di qui una lunga catena di amori non amori, amici non amici solo perché tu sei lontano da casa. Dove la tua casa è il tuo posto nel mondo, quello che dovrebbe essere il tuo io, il tuo relazionare, il tuo lavoro, i tuoi interessi, il tuo amore.



Il resto è perdita di tempo. E quando l'anima perde tempo, Eros (il signorino dei Dialoghi di Platone, quello che ti fa conoscere il vero, non il cantante), va via. E tu diventi, semplicemente, grigio. E falso. Falso con te stesso. E ami male. E studi male. E lavori male.



E, di lì, tutta una serie di inganni. E si forma una bella corazza che nasconde o un fuoco, o melma putrida. O tutt'e due.



Qualche volta pensi "no, non è successo a me".



Se sei bravo, un giorno, ti fermi. O magari, se sei meno bravo, il mondo ti ferma.



Ma sta a te riconoscere che ti devi fermare. O che ti dovevi far fermare. E lì ti guardi intorno.



Più che altro ti guardi dentro. E se sei stato tempesta, trovi la quiete.



E a quel punto, ritrovi tutto quanto. Solo che, al contrario di chi s'è fatto la via umida, comoda, senza scossoni... tu hai qualcosa da raccontare.



E hai un senso più elastico delle cose. Non ti spaventa la fatica. E ti si alza la soglia del dolore.



Sembra al mondo che tu abbia un senso "sportivo" delle cose. Ma al tempo stesso molto più intransigente.



Perché quando hai percorso le vie dell'Inferno, lo squarcio di cielo del Paradiso (non tanto il Paradiso, troppa grazia!) non te lo lasci mica sfuggire.



Perché ad un certo punto della vita ti trovi, un pomeriggio, a parlare con qualcuno delle stesse identiche cose.



E ti sembra quasi un miracolo.



Oppure senti che te lo sei meritato.



(Eccheccazzo!)

venerdì 28 novembre 2008

Coincidenze astrali



Da stamattina gironzolo per casa strettamente legato alla porta del bagno.

Riesco, ogni mezz'ora circa, a secernere della materia primordiale di un colore davvero mai visto prima.



Un dubbio mi attanaglia: cosa può essere?

(1) E' indigestione (e lì serve l'agrume di Sicilia, è inutile),

(2) principio di influenza (fine settimana di merda a casa, col rischio di contagiare l'Indimenticabile, il Drago, la Principessa e quanti altri entrino in relazione con noi) oppure

(3) è la sottile e tremenda vendetta della mia ex moglie?

Davvero...

Mi chiama l'altro giorno l'amico avvocato...

"AP, ascolta... c'è un problema..."

"Sono le nove e mezzo di mattina... deve essere grosso..."

"La cancelleria ha sbagliato la data ed è stata cancellata l'udienza per il divorzio dal ruolo"

"E mo'?"

"Se facciamo costatazione subito forse si ripristina..."

"E chi lo dice alla controparte?"

"Dammi il numero che ci penso io"

"Così mi piaci!"

"Sì, ma resta nei paraggi casomai dobbiamo firmare tutto di nuovo!"



Io avevo sposato una chimica esperta in veleni.

Le ultime volte, quando mi offriva il caffè, mi sentivo Sindona.



Boh.



Sospetto...



Nel caso:

Lascio al Drago la mia collezione di Dylan Dog, le enciclopedie sugli animali e il mio cervello (come dice lui) per rispondere alle domande a scuola. E la chiavetta internet.

Alla Principessa, il resto della biblioteca, che la vedo più pronta. E tutti i numeri di Velvet. Perchè è strafiga.

All'Indimenticabile, lascio il mio cuore. Che se lo rivenda pure, così si fa un po' di soldi. Tanto batte e batterà sempre per lei.

I polmoni, dopo aver respirato fumi vari (al novantanove per cento passivi, tranne i Toscani e i Cohimba), al gatto. Cazzi suoi.

(Ah, nel pacco organi escludo il fegato. E' scappato l'anno scorso, e mi ha mandato una cartolina da Cuba. Nonstante beva rum dalla mattina alla sera, sta una bellezza).

giovedì 27 novembre 2008

Il satellite a gas

trainVerso mezzogiorno squilla il citofono.



Io sono immerso nella comprensione delle macchine virtuali e tutto un casino di altre amenità su come lavorare meglio spaparanzati nel proprio salotto...

Il Drago va a rispondere (caso strano, perché anche lui, salvo cataclismi, incendi, animali feroci in casa, è abbastanza fuso col divano)... e dice: vai tu.



Non è l'Indimenticabile.

E' l'uomo del gas.



Vado ad aprire... e il tipo senza buongiorno, buonasera, mi entra in casa...

"Lei è moroso! deve regolarizzare immediatamente altrimenti le stacchiamo il gas col satellite!"

"Guardi, premesso che a quanto pare mi sta facendo vedere la bolletta del precedente inquilino... ma il mio nome sul citofono non lo ha visto? e dov'è la mia voltura fatta il XX XXX? (chiamo l'Indimenticabile per conferma?)...."



Il tipo resta in silenzio... "guardi... la voltura... non la troviamo... però vada immediatamente in ufficio... così sistemiamo... "

"E' aperto ora?"

"Certo, chiude all'UNA".



Ci salutiamo con una certa irosità...

... e mi incammino verso questo benedetto ufficio (a duecento metri da casa, a dire il vero).



Ovviamente, è aperto il pomeriggio.



Ora:

- Hai citofonato a ME con la cartella DI UN ALTRO.

- Non mi hai neanche chiesto CHI FOSSI.

Ma sopratutto:

- Se puoi staccarmi il GAS col satellitare... per quale cazzo di motivo mandano in giro un cretino come te a leggere i contatori????



Misteri.



Poi uno torna a casa, trova la moglie con l'idraulico e si lamenta.



"Ma caro, non eri sul satellite?"



Io, sinceramente, che i satelliti costassero... ne ero cosciente... la corsa allo spazio è finita e si mandano in orbita delle comitive per ridurre i costi. Ma che i satelliti andassero a gas, giuro, non ci avevo ancora pensato.



martedì 25 novembre 2008

Ridente trentasettenne

Tutto il passato torna come un'onda

e quelle antiche cose sono qui

solo perché una donna ti ha baciato.




Ogni volta che rileggo Borges risento un certo tipo di profumo.

Oggi è il mio compleanno. Trentasette anni dissennati.

Ma il profumo, come si sentiva, pare buono.

martedì 4 novembre 2008

Un taccuino



"E non si regala l'Intelligenza e la Compagnia"

Ivano Fossati, La disciplina della terra.



Dovremmo tenere un taccuino del male che ci accade.

Ogni giorno.

Perché la mente è elastica e, per sua stessa difesa, tende a dimenticare, ad aggiustare. A giustificare.



Freud direbbe che stacchiamo lo stimolo cosciente... e il trauma annega nell'inconscio.



L'Inconscio.

E son cazzi, direbbe sempre Freud.



Tanto, del dolore, rileggeremo il ricordo, come se fosse accaduto ad un altro. Perché è così. Ma almeno leggere la nostra storia da lontano fa magari meno male, ma insegna come un buon libro. O una buona rappresentazione. Perché le esperienze, dicevano i Greci, o le vivi, o vai a teatro e ascolti quelle degli altri.



Il concetto del perdono è un'altra cosa, per carità. La memoria delle ferite aiuta a non ricommettere lo stesso errore.

O, almeno, qualcosa del genere.



Io, per me, ho smesso di regalare il mio tempo.



(Foto di AP, del 2006, fatta col cellulare. Perché una torma di simpatici ladri aveva portato via la Fuji S2Pro e tutti gli obiettivi, assieme ad un altro pezzo della mia vita. E in quel momento, per regalare il tempo, non avevo da parte neanche i soldi per ricomprarmela. Poi, dopo quella sera, il mio amor proprio mi fece esplodere. Non mi sono comprato certp una macchina da 10.000 euro... una di quelle che fanno sentire tutti fotografi, perchè non è importante lo strumento ma il manico, ma quelllo che più dignitosamente mi serviva, per lavorare e per godere del piacere di fermare il tempo, e di averne, in quel caso, un buon ricordo).



Questo post è dedicato all'Indimenticabile, e a tutto questo tempo nuovo che ci ha concesso questo amore, che ogni giorno cresce, costruisce, solidifica, unisce. Il resto, scusatemi, era finto.

giovedì 9 ottobre 2008

Ti presento mio marito

Ora di pranzo. Panettiere.



Ma non un panettiere qualunque. Quello che ha i piatti pronti... e il tuo succo gastrico sente gli odori da chilometri, come gli squali quello della preda ferita in mare...



Mi sono distratto un attimo... vedo nei fumi del riso con i ceci l'Indimenticabile che comincia a parlare amichevolmente con una signora... ad un certo punto dice:



- Ah ti presento mio marito...



E stava parlando di me.



Son cazzi.

lunedì 22 settembre 2008

Persone serie

leclisse01



Stamattina Ore 10.00



AP: S? sia gentile... accenda il computer del capo... e lo lasci lì

Segretaria: Faccio subito...

AP: (zap zap zap via internet)

S: Che sta facendo?

AP: Le ho istallato il programma aggiornato. Troverà gli ordini stampati direttamente nella stampante...

S: Ma che altro devo fare...

AP: Li faccia trovare sulla scrivania, che il lunedì mattina fanno bella figura...



Stamattina Ore 11.00



SocioPotenziale: Ci prendiamo un caffè che parliamo del Progetto?

AP: Andiamo di qua che tra un po' arriva anche l'Indimenticabile che sarebbe perfetta come coordinatrice.

SP: Allora il tutto funziona sul venduto...

AP: Perfetto... quindi la struttura deve essere funzionante...

SP: Già. Una startup in piena regola.

AP: Io avrei anche la struttura software... passami il business plan...

SP: A pagina trentaquattro...

AP: Sei sicuro?

SP: Approssimativamente...

AP: Cinquecentomila...

SP: Cinquecentomila...

AP: (Sticazzi.)



Ore 12.00



L'Indimenticabile: L'idea di SP è ottima... ed è una persona a posto... vero?

AP: Quando abbiamo fatto qualche lavoro, ci siam sempre divisi gli utili...

I: Ma per questa cosa quanto serve...

AP: Reggiti.

I: Che?

AP: Cinquecentomila.

I: Io faccio si e no quarantacinque euro. E devo fare la spesa. Ah... cucini tu?

AP: (Sticazzi)





Ore 12.15

Capo: Ma tu quando vieni?

AP: Mercoledì alle 14.00

Capo: E' che si son bruciati i condensatori e qui non li trovo non è che...

AP: Te li cerco e te li spedisco oggi col corriere, 140 microfaraday?

Capo: E se partissimo mercoledì sera?

AP: E il commercialista per il consorzio...

Capo: Ma si è bruciato il condensatore...

AP: Quindi...

Capo: Torniamo da Roma venerdì... e poi...

AP: Ma se chiamano dal Kuwait? dobbiamo salire domenica a Milano e cercarci uno showroom...

Capo: E dall'amica tua a Milano?

AP: E' cocainomane, lasciamo perdere...

Capo: E quanto spendiamo?

AP: Vedo se li dirottiamo a Roma... così c'è un amico fotografo che ha una sala allo Sheraton sulla Colombo... si fa sempre una bella figura...

Capo: Ma sabato?

AP: Sabato, domenica, ecchennesò...

Capo: Quindi quando torniamo?

AP: Bacia tua moglie e dille "tornerò"...



Ore 14.00, mentre tiro il sugo con la pancetta...



Drago: Domani tu resti qui. Ho detto agli amici che vengono a casa che mio padre vende i vestiti da sposa e fotografa le modelle... così ce le fai vedere...



AP, pensando: I cinquecentomila li vedo già più semplici. E Kuwaitiani li ho già nel sacco.



(Foto di AP, dal balcone di casa. Sarebbe occorso il cavalletto, ma in alcuni casi mi hanno chiamato "tre piedi". Con una certa soddisfazione).

domenica 21 settembre 2008

Squallide figure che attraversano il Paese

modella

A dispetto di quanto dice di me qualche infima figura che ha popolato qualche mese della mia vita qualche tempo fa, e che legge il mio blog per "essere informata dei cazzi miei", che ha RUBATO un po' del mio tempo, qualche mia idea e un po' della mia fiducia nel prossimo, e che mi ha persino dato dell'INCONCLUDENTE con persone alle quali non si sarebbe neanche dovuta avvicinare, tengo a precisare:



1) E' la seconda volta che rifiuto uno stipendio fisso (circa il doppio di quanto la medesima persona ha "raccontato" di guadagnare per avere un mutuo in banca, per comprare non so che cosa) a vantaggio di  più scomode, rischiose, ma più laute e stimolanti provvigioni...



2) Il direttore generale di Swarovski Italia ha "gustato" quello che ho fatto con l'azienda di cui sono direttore commerciale e art director, visto che siam diventati in una sola stagione i primi clienti Italia per fatturato nel settore e usciranno a breve le MIE foto sulla loro rivista Crystallized, e si è preso cotanto biglietto da visita strafigo nero scintillante...



... e mentre mi gusto un meritato carpaccio di tonno e spada preparato da me medesimo personalmente di persona, annaffiato con uno Chardonnay siciliano...



3) Se vedo una cosa mia pubblicata senza consenso scritto, il mio avvocato vi fa un culo così...



L'invidia della felicità e della capacità altrui è una brutta bestia. E il malparlare, il malagire, il denigrare gratuitamente le persone per tentare di affamarle, per tentare di averle sotto controllo ha un solo nome: mediocrità.



A presto, e non su questo blog, ma in comode buste verdi, nomi e cognomi.



(E sullo sfondo, Battiato canta "... quante squallide figure attraversano il Paese...")



(Foto di AP, ultimo servizio fotografico. Modella molto fotogenica, più una bella dose di Photoshop: qualche neo, qualche eritema, lentiggini, leggere occhiaie. Ormai delle modelle guardo come posso "farle venire" e non quali meravigliose sensazioni possono darmi. Le meravigliose sensazioni me le dà la mia compagna, ogni giorno di più. Ed altri tipi bassi che si aggirano per casa. Perché a volerla cercare, la bellezza, la trovi dovunque. Il problema è di non ritoccarla inutilmente con il Photoshop dell'anima. Il mio maestro diceva sempre: scatta una bella foto, poi fanne quello che vuoi. E, furor di metafora: se una realtà è malata, non facciamo finta che sia sana. O una cura, o un po' di quarantena. Al limite, un bel falò.)

martedì 16 settembre 2008

Tutto il passato torna come un'onda



Ci sono i grandi amori nella vita.

Generalmente si pensa ad una donna, ad un compagno, ai figli.

Ci sono i grandi amori, diversi.

Perché l'anima vive vite parallele.



Un grande amore, generalmente, ci salva.

Non credo agli amori che fanno soffrire. Sono amori malati, sono deviazioni della mente. Un amore non è mai tristezza, ma una luce infinita. E ti eleva.



Platone scrisse:

"Gli uomini chiamano Amore Eros, perché ha le ali. Gli dei lo chiamano Pteros, perché ha il potere di darle".



Ora, premesso che spesso le nostre vicissitudini, le nostre malinconie ci fanno dimenticare gli insegnamenti più profondi, mi piace pensare che ci siano dei punti fermi, davvero fermi che ci fanno uscire dall'inferno della ripetizione dell'errore.



Nella mia vita non sono stato un santo. Lo ammetto senza paura.



Gli errori che ho commesso sono deviazioni da quello che di buono ho visto e imparato, dettati da un certo senso di autodistruzione misto ad una incosciente consapevolezza di immortalità.

E li ho pagati tutti.



La ripetizione dell'errore, il vortice fino al limite del buio.



Fino a combattere l'orrore.



Fino a credere che non ci siano soluzioni.



Fino a quando l'istinto di sopravvivenza non si ribella.



E poi le tenebre si squarciano inevitabilmente, perché la vita è fatta di luce.



Io sono fatto così.



Spesso mi son fatto inutilmente del male, crogiolandomi in situazioni di stallo, finché non sono esploso.



La mia Bibbia, il libro sul cuore che ferma il proiettile è un libro di Borges.



Il primo libro è stato La Cifra.



E ogni volta che stavo cadendo nel vortice, un suo verso mi ha spaccato l'anima, e mi ha fatto ricordare chi sono, e il profumo della bellezza.



Mi ricordo a casa dei miei, in quella che, impolverata, era ancora la mia stanza, i versi de "Le due cattedrali" che mi svegliavano dal torpore di un rapporto ormai finito. E mi facevano tornare a vivere...



"Adesso, schiavo, sei morto. Dal cielo platonico contempli, con sorridente pietà, le due cattedrali: quella che eressero le generazioni di Francia e quella che tramò la tua ombra, entrambe riflessi di un archetipo inconcepibile".



E tutta una serie di pensieri irrompono nell'anima, spazzano via le ombre, e riaprono le possibilità.



Io porto dentro di me quel libro. Perché, sebbene ogni volta che mi pare di averlo compreso mi riveli qualcosa di nuovo, la meraviglia supera l'incertezza, l'incanto la paura dell'ignoto.



Io credo nel destino.



E credo nella nostra capacità di guidarlo, di esserne i conduttori. Di cavalcare il Drago.



Credo che si possa uscire da ogni situazione di tensione, che i problemi non sono destinati a durare per sempre, a meno che non si sia affetti da un insano masochismo.



Perché esiste un ordine delle cose.



Io credo nel destino.



E nella bellezza.



Ieri la mia compagna aveva finito un libro. Mi ha chiesto un titolo.



Io ho vagato nella nostra biblioteca, l'unica parete veramente completa di questa casa fin troppo grande e ho tirato fuori due cose a me carissime: "Il codice dell'anima" di Hillmann e "L'Aleph" di Borges.



Lei ha scelto magicamente L'Aleph.



Oggi ero tuffato nel monitor del computer a ritoccare delle foto. Lei si avvicina, mi porge la sua mezza tazza di caffè.



Mi accarezza come solo lei sa fare.



Ed irrompe: "Ho cominciato l'Aleph... la definizione della divinità, la maestosità dei pensieri, la profondità delle parole... la magia che riesce a creare... è un libro bellissimo..."



Aveva gli occhi belli. Lei ha sempre gli occhi belli. Ma lo erano di più. Belli come io sospettavo che fossero in realtà, senza un velo di tristezza.



Se qualcuno mi chiederà una definizione di Amore, io racconterò questa storia.



"Tutto il passato torna come un'onda, e quelle antiche cose sono qui, solo perché una donna ti ha baciato".



E oggi il bacio più bello me lo ha dato un bambino che diventa sempre più mio.



(Foto di AmorPlatonico. Mare gentilmente offerto da Marsala, con tanti saluti alle note di Mal d'Africa di Battiato che mi hanno accompagnato nell'ultimo viaggio in Sicilia).