sabato 10 febbraio 2007

Quello che fu

Gli ottantotto tasti della Roland. Il suono del pianoforte. Gli arpeggi in Do minore, le armonizzazioni blues. E mentre suonavo scrivevo il testo della canzone, e il ricordo di te e gli studi di Freud e le imperfezioni, e gli atti mancati.

E i romanzi di Asimov letti nell'ultimo piano della villa che non c'è più, nella luce del pomeriggio dietro le finestre che si chiudevano male, su quella sedia di vimini che comoda non era ma tanto bastava.

E una volta che mi chiamasti con il nome con cui mi chiamavano a casa e non quello di scuola, e poi capii che non era solo simpatia, e il primo bacio nervoso. Ed era tramonto.

E quando ho imparato a leggere, e avevo quattro anni, e ho divorato libri, e enciclopedie, e storie, e leggevo dei romani e delle loro battaglie, gli schieramenti di fanteria e di cavalleria, gli scontri e le tattiche, e subito dopo gli esperimenti con l'anitride carbonica...

E una camicia, un'auto parcheggiata tra le colline di primavera, e un ti amo, e un amore nuovo, e un po' di sangue, e nuove lacrime.

E le armonie di Francesco Petrarca e la prima volta che ho ascoltato, davvero, The Wall e ho pensato madonnasanta.

E Orwell 1984.

E le colline di notte.

E le cose che ho fatto, e che ho visto allora.

E a vent'anni che non sopportavo i coetanei e uscivo con i quarantenni.

Ed ora accade forse il contrario, ma non so.

E quella volta che in calabria non trovai il cliente, forai, mi si spacco il parabrezza. E tornai a casa.

E quando non si capì esattamente che cosa volessero da me. E certe volte non lo capisco ancora.

E quella volta che sembrò tutto facile, che sembrava un grande amore, che sembrava perfetto, che tutto avrebbe cancellato e tutto creato. E crollò simpaticamente per una firma in banca.

E non parliamo delle banche, per carità. Venga, buongiorno, si accomodi, firmi qui.

Eppoi con gli occhi chiusi a ricordare. E Heaven And Hell di Vangelis e i brividi al buio.

E uno strattone in metropolitana e la tua macchina fotografica, e due giorni di foto, che non ci sono più.

E il sipario che si apre, e la musica, e le canzoni, e lo spettacolo.

E le tavole rotonde.

E un volo internazionale, poi un altro ancora. E ancora. Un paio di volte, lo ammetto, ho vomitato. Ma non sopporto quando non guido io.

E un viaggio in treno fino a Chartres.

E un viaggio in macchina, dietro l'angolo di casa, a combattere me stesso.

E occhi che ti guardano negli occhi.

E occhi che non ti guardano negli occhi.

E voci gratuite al telefono.

E bambini che ridono.

E una bambina che pareva ci fosse, poi, non c'è stata più.

E le poesie di Jorge Luis Borges. Se mi dovessero chiedere davvero cosa mi piace.

E la prima volta che ti ho vista. E ti ho vista in ogni donna che ho amato. E quando non ti vedo. E quando ti cerco.

E i dubbi sull'invisibile, quando si rende visibile.

E il sogno, il sonno, il risveglio.

E il non sogno, il non sono, il non risveglio.

E quando capisci come funziona. Tutto. Un meccanismo. Sai cosa fare per ottenere qualcosa. Sai come funziona. Tutto.

E ti manca qualcosa.

Porca miseria.

Come si fa?

6 commenti:

  1. Giù le mani da Vangelis!



    Serena

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  2. Un giorno mi spiegherai l'autolink...

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  3. amor...questa è proprio degna di te.

    delle prime volte che ti ho letto.

    la tua essenza.

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  4. siamo gemellati!!

    ciao buon Amor Platonico (anche se dalla tua mole di conquiste no si direbbe)

    saluti Maltesi

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  5. Riassumere cosi' quasi in una poesia le tappe fondamentali della propria vita. Bello!

    M.

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