“...ed un aiuto chiaro da un'invisibile carezza
di un custode.
...
E quanti personaggi inutili ho indossato
io e la mia persona quanti ne ha subiti
arido è l'inferno
sterile la sua via.
...
E poi la sofferenza che ti rende cieco
nelle cadute c'è il perché della Sua Assenza
le nuvole non possono annientare il Sole”
Franco Battiato, Lode all'Inviolato.
Si chiamava Paola. Era bruna, longilinea, altissima. Gli occhi grandi. I colori dei vestiti erano il viola e il nero, le scarpe, stivali. Le mani, curate. I movimenti eleganti.
Una trentina d'anni. Dipingeva. Tela e vetro.
Esponeva le sue opere nella galleria di un amico.
Io mi ero appena separato, e la mia solerte complice, convinta che chiodo scaccia chiodo funzioni, almeno in superficie (e lo sappiamo entrambi) mi intima di raggiungerla a casa sua perché la bruna sarebbe la donna ideale per me.
Vabbè.
La mia indolenza sentimentale mi induce a ritardare quell'ora e mezza che per le persone di buona creanza indica il ritorno a casuccia e alle dieci, anziché le otto e mezza, mi presento in quell'appartamento che io e la mia complice vestiamo di proprietà magiche, dove tra penombre e profumi risolviamo i dubbi sul mondo, sull'amore e su altri demoni. Ovviamente sghignazzando.
Arrivo ovviamente quando la ragazza e i suoi amici, una simpatica coppia gay, stavano per andare via.
D'essere bella, lo era. Ma il mio settimo senso virgola due, quello che mi difende dalle donne problematiche, si attivò immediatamente. E aggiunto all'indolenza sentimentale (e forse ai miei chili di troppo, di allora: non che ora sia una silfide, ma in quel tempo la mia bilancia elettronica segnava “salire una persona per volta”, come il gabbiotto in banca, che ti intima di depositare (!) le pistole prima di entrare) fece sì che la discussione si mantenesse sul tono dell'educato distante.
Ovviamente la brava coppietta di Dolce & Gabbana e l'angioletto dark andarono via... ed io ovviamente mi gettai sarcasticamente su un'altra preda la cui follia era circoscrivibile.
Ma questa è un'altra storia.
Quando successivamente chiesi di Paola, più per educazione che per desiderio, alla mia amica, lei mi rispose che la Morticia le aveva risposto, alla sua richiesta (indipendente) di concedermi il numero di telefono “Digli che sono lesbica”.
Ma era un matrimonio che, comunque, non si doveva fare.
Ieri c'era il sole. Il traffico infernale mi fa rimandare un appuntamento (il famoso incontro con i figli di papà... ehm... il gotha del settore sposa...), quindi passeggio all'ora di pranzo con la mia amica, addentando una sporcaccioneria culinaria e una coca cola.
C'è il sole. E Piazza Umberto a Bari pullula di gente: studenti universitari, impiegati bancari ignari ricercatori di verità, venditori di false Gucci perfettamente imitate, sorridenti perchè, almeno oggi, c'è da mangiare, e donnine che guardano le borse alla ricerca di quella più somigliante all'orginale per far morire di invidia le amiche con dodici euro.
La mia amica mi dice che le han detto che Paola si è suicidata. Si è gettata giù da un balcone.
Perchè non trovava un senso.
Fosse stata stupida, avrebbe fatto la velina. O la donna beige. O la fidanzata di un bancario.
Io ammiro i suicidi, perchè hanno il coraggio di vedere l'assurdità e la falsità di questa vita. E hanno il coraggio di una scelta. Che è drastica, discutibile, ma senza compromessi.
E non sono mai superficiali. Anzi, di profondità ne hanno. E troppa.
Il fatto è che certe volte è una bellissima giornata, ma non senti sulla pelle il calore del sole.
Se ci fosse una invisibile carezza di un Custode, però...
Il primo che commenta con una frase ad effetto idiota lo sbrano.