mercoledì 16 luglio 2008

Amore, Psiche e biglietti del treno.





All'inizio erano le Tavole di Piraino, quelle misteriose stampe da quadrettare e da riprodurre.



E allora c'era Cecilia, la maga della sanguigna, che in cambio di un sorriso (che ho capito dopo voleva essere altro, ma, che volete, sono un maledetto intellettuale) mi ha risparmiato qualche ora a ricopiare anziché inventare. Ed erano capitelli e templi e statue.




Poi ho chiuso le tavole. E ho guardato il mondo. Il mondo di cui quelle tavole erano una rappresentazione.




Amore e Psiche l'ho vista, l'ho toccata. Era il 1990, la prima volta. Diciotto anni, zaino in spalla, inter-rail. Parigi, saranno stati quaranta gradi, quell'Agosto.




Lo zaino, a smontarlo, pesava molto di più di quello che servisse. Perché c'erano un paio di libroni che m'ero portato. Così, per passare il tempo in treno. Che poi, tranne uno, non ho letto, perché ho parlato, conosciuto, scambiato.




Era finito un amore, mi ricordo, o c'era un amore, ma era malato. Perché l'amore spesso è malato. Nasce così, quell'amore, perché ti conosci poco. Non un'altra persona. Conosci poco te stesso. E allora non sei tu che ami, ma sei tu, le tue nevrosi, le tue angosce. I tuoi limiti.




(E leggevo “La nausea” di Sartre, l'angoscia del reale e il trionfo dell'inesistente, il dolore della vita, l'impossibilità dell'amore... e gli occhi si inumidivano a pensare al mio d'amore che sembrava immenso, ma era impossibile, e allora inforcai gli occhiali neri, e continuai a leggere, e a straziarmi, perché a diciotto anni se non ti strazi, che vivi a fare?)




L'amore, di per sé, scopri, è infinito. Tutto quello che ne è copia, è limite, è passeggero.




E, se va bene, finisce. Le definiamo storie “pulite”. Magari solo perché sono più in superficie.




Altre sono malate. Perché sono parti di noi che non amano, ma sono ossessionate da corrispondenti (o opposte) parti di altri. Perché certo amore va così. Di inganno in inganno.




Allora vivi tutta una vita con un'ombra, pesante, un'ombra che sembra solo sentimentale ma poi assume tutti i connotati della materia, perché l'amore é materia, mi insegna qualcuno, e perché non si vive di sola mente (e non ditemi il contrario, perché è grigio, altrimenti). Perché poi tutto si complica. Perché si vivono situazioni a diversi livelli di profondità. E allora tu incolli i tuoi desideri su un'ombra e quell'ombra, proprio perché ombra, svanisce all'improvviso.


E così i tuoi castelli, costruiti sulla sabbia.




E giri per il mondo con il segno delle macerie addosso.


Sensazioni paritarie, dovremmo pretendere. Ma da pretendere non da un altro, che in quanto altro non è controllabile, ma da noi stessi. E fare quella cosa che sembra semplice, ma è inneffabile, e poi diventa semplicissima: comprendersi.




E allora guardi, e vedi, e scindi i contorni. E non litighi, costruisci. E non stai in silenzio, ma ti confronti. E risolvi. E cresci. E ti avvicini. A cosa? Ad un concetto strano.




Mi è tornato ieri, in mente, mentre in questa nuova immensa casa monto finalmente la libreria che mi ha accompagnato da ragazzo, con tutti i nostri libri (i miei e della mia compagna, perché i libri sono importanti, perché fermano le idee, non solo quelle di chi scrive, ma anche di chi legge, perché ricama le proprie a quelle stampate, o vergate a mano, e le fissa nella mente, come recitare ad alta voce le parole di una preghiera: è sentire sé stessi). Mi è tornato in mente il mito della caverna di Platone, le ombre delle idee, la strada verso l'Iperuranio attraverso l'amore del Dio, lo scegliere sulla terra quella persona, quell'Amore, che ti conduca alla visione di te-infinito, di te-idea.



E ho guardato gli occhi grandi del mio, di Amore.




E ho sorriso.




Perché lei è il mio archetipo dell'Amore su questa terra.




Perché amiamo, e parliamo. Sempre. Sempre curiosi di sensazioni, e di idee. Amore e Psiche.





Se per uno scherzo terribile del destino, mi dovessi sbagliare, sbagliare ancora, non fa nulla. Lasciatemi in questo inganno, perché, stavolta, almeno, è meraviglioso. Perché, alla fine, lo so, sbaglierei sbagliandomi.


Ora le tavole di Piraino mi mancano.


Ma giocherò con le immagini che ho scattato, e che scatterò, e tappezzeranno i muri di questa casa, come fino ad ora, che son stato come un viandante, un pellegrino, le ho portate, in fondo, tutte, realmente, solo nella mia mente.


Perché ora sono a casa.




(Amore e Psiche di A. Canova, Louvre, 2001, foto del sottoscritto, effetti alla Piraino di Photoshop, saluti a Cecilia, che ha sposato un carabinere, e alla mia inguardabile prof di storia dell'arte di liceo, detta "Athena Parthenos" per l'esilità delle sue caviglie e la soavità della sua voce, ovunque ella ora si gode la sua immeritata pensione).

martedì 15 luglio 2008

Amarcord

- Magari ci apriamo uno studio insieme...

- Guarda che io frequento ingegneria elettronica, tu architettura...



Poi uno si lamenta che non ci si è capiti.



(Dialogo di AmorPlatonico e della sua ex storica, andando all'università, ricordato mentre, come i vermi di dune, le sue foto sono sbucate da una scatola. E hanno raggiunto il bidone dell'immondizia.)

domenica 13 luglio 2008

Il senso dell'Amore

(A tavola, occhio languido)



- (Sussurando) Io ti amo...

- C'è il formaggio che ti piace in frigorifero...

martedì 8 luglio 2008

Ho avuto un'infanzia difficile

I traumi adolescenziali poi sono un'altra cosa.



Ma si continua allegramente, 'appero!



Ieri pomeriggio al parco, con la mia compagna (l'Indimenticabile), il Drago e la Principessa.



Il Drago trova subito la sua ragione d'essere (il calcio) e sparisce con la sua nuova squadra di amici.



Io tento di fare qualche telefonata di lavoro, ma vengo preso sotto tiro dalla Principessa. Non c'è scampo. Devo giocare con lei.



Premesso che giocare con la Principessa mi cancella ogni pensiero nero dalla testa (mentre il Drago mi ha fatto scoprire il calcio a 37 anni), il gioco consiste in questo: mentre faccio qualunque cosa, questo qualunque cosa deve passare in serie B perché l'attenzione deve essere solo su di lei.



Quindi io parlo con la cliente inafferrabile al telefono, quella che ci hai messo tre giorni per fartela passare, e mentre cerco di mantenere un tono professionale devo:



- farle fare il morto come se fossimo al mare ma siamo al parco (e dopo un po' finiscono le mani, se hai un Nokia in una mano e una novenne nell'altra);

- farle fare la giostra (tu sei la giostra e lei ti zompetta attorno/sopra/sotto/a lato)

- rispondere alle domande

- evitare che prenda parte alla conversazione.



Quando c'è il capo al telefono, glielo devo passare, non c'è storia. E lei si informa su:



- il venduto

- la borsa

- quando partiremo di nuovo



il tutto finalizzato a che regali mi deve chiedere.



Ma la Principessa è la Principessa, è inutile.



Ad un certo punto, il Drago "finisce" gli amici e mi chiede di palleggiare con lui.

Ed io sono vestito come un pinguino.



Dai tavolini, lo sguardo dell'Indimenticabile.

Ad un certo punto mi chiama. Mi indica i bambini, guarda la mia fronte imperlata di sudore e mi chiede:

"Ma tu mi vuoi ancora bene?"



Ad un certo punto decido di vendicarmi.

Ricordo al Drago che anche se a palleggi mi batte, sui tiri da lontano è una schiappa. Ma tornano gli amici e mi scaga.



Allora prendo sotto tiro la Principessa:

"Allora come va col tuo fidanzato? mi dicono che si chiama come me!"

"Sì, ma lui è biondo e ha gli occhi azzurri!"



Vabbè.

Ho avuto un'infanzia difficile, non lo nego: è questa.

domenica 6 luglio 2008

Traslochi (4)

Oggi ho buttato un sacco di maglioni vecchi.



Il fatto è che me li portavo dietro che saranno vent'anni.



Perché i maglioni tu pensi che non invecchiano, in particolare se di te hai quel così alto concetto che pensi che vestirsi bene sia prendersi troppo sul serio.



Anche se in realtà quei maglioni non li ho messi poi così tanto. Perché avevo diciotto anni, forse. O sedici. E mettevo il maglione sotto il giubbotto di pelle per andare in moto e stare caldo.



Poi c'è stato il lavoro, e tutto il mio vestire rigorosamente di nero, dalla giacca e cravatta alla maglietta meno impegnativa. Ma tant'è...



Io quei maglioni, oggi, li ho buttati via.



Assieme ad un legame del passato che, in realtà, era un peso, non un legame.



Perché il passato lo hai vissuto, lo hai elaborato, lo hai fagocitato. Ed ora lo guardi da lontano.



Assieme ad una serie di errori, quella serie di errori che l'uomo normale chiama esperienza.



Perché ti sei dato una nuova possibilità. E l'hai data a qualcun altro. Perché riconoscere gli errori significa crescere e cambiare.



Perché significa lavorare su sé stessi. E superarsi. E smetterla di credere superficialmente che non si possa venire fuori dalle difficoltà, dalle situazioni negative.



Perché, come dico sempre, dell'Inferno non ci lamentiamo del clima o della compagnia, ma dell'eterna ripetizione dell'errore.



Basta con l'Inferno.



Abbiamo già dato.

martedì 1 luglio 2008

San Valentino

Certi sguardi del Drago o della Principessa mi fanno tornare indietro.



Quattordici Febbraio Duemila.



Fu una mattinata lunghissima. In clinica la mattina presto. "Non aspettarmi. Ti chiamo io dopo."

E le onde di San Vito per ore ed ore.



IVG

Interruzione Volontaria di Gravidanza.



"Ci conosciamo da troppo poco tempo" - disse.



Io sarei stato lì, d'accordo con ogni sua decisione. Dopo aver parlato e riparlato.

Ma aveva già scelto.



Perché una donna sceglie di avere un figlio. Sempre.



Io poi quella donna l'ho sposata. E mentre andava tutto male lei mi disse che sarebbe stato il caso di fare un figlio.



Sarebbe stato il caso.



I figli si fanno per amore. Io allora amavo, o credevo di amare. Avevo un amore, per quanto malato che fosse (tanto che poi non ce l'ha fatta)...



Altri li progettano a tavolino.



Altri li usano, per aggrapparsi a qualcuno. Altri per fare soldi.



Io, per me, qualcosa, forse, ora, la sto capendo.



E sentivo che era una bambina, o così mi piace credere. O credere di sentire.



Io non so, non l'ho mai saputo.



Ma qualcosa tra di noi si era rotto. Ora so cosa significa avere un figlio, e quando una donna vuole dartene uno.



Ora so cos'è una vita che ti zompetta intorno, che ti fa domande, che litiga con te, che ti fa impazzire, che vuole palleggiare, che vuole che gli spieghi cos'è un decametro quadro alle sette e mezza di mattina o che ti sorride di notte.



O che ti prende a pugni pazzo di gelosia se sfiori la mano della mamma.



Oppure ti arriccia i capelli, mentre dorme con te.



E poi entrò l'infermiera e disse, sprezzante... "Certo che bel San Valentino che vi hanno fatto passare i vostri mariti!"



Già.