Fenomenologia del fidanzato.
Il primo fidanzatino: è proprio quello dell'asilo. In realtà mi hanno detto che mi sono fidanzata direttamente tra le incubatrici, ma non ci sono documenti attendibili. Sembra che il primo uomo che mi abbia toccata mi abbia tenuta a testa in giù e mi abbia presa a sculacciate. Il mio psicanalista mi conferma che è per questo che mi eccitano i camici e quelli che mi fanno soffrire, non necessariamente in quest'ordine.
Il fidanzatino dell'asilo si chiama sempre Marco. Poteva essere anche Luca. Ma questa la racconto a Milano. A Bari dovrebbe essere Nicola, però a me piaceva Marco.
Marco era piccolo. Era davvero piccolo. Piccolo e biondo. Se pensate che io sia Barbie, e lui quindi Ken, vi sbagliate. Io sono Barbie. Lui è Marco. Per questo non ha funzionato.
Anche perchè Io non lo sapevo nemmeno. Ma ora lui è nei miei sogni.
Il primo della classe. E' sempre alle elementari. Poi, magari, crescendo, si guasta. Ha i riccioli. Gli occhi chiari. E' un po' timido, e paffutello. Piace alle maestre, alle mamme, e, quindi, inevitabilmente, anche a me. Ed io ero innamorata di lui perché in realtà non mi cagava di striscio. Perché a quella età, gli uomini sembrano così maturi. E questo vizio mi è rimasto. Ma non è maturità: è il testosterone che non c'è ancora. Anche lui si chiamava Marco.
Ora Marco fa il marittimo sulla Bari-Patrasso.
Ma è alle medie che i ragazzi scoprono veramente le ragazze. E si comincia con i primi baci. E le prime misure. La mia era già una terza, per intenderci, promettevo bene. Loro si misuravano altro. E lo urlavano. “Otto!”, “No! Io dieci!”, “Perdenti!” disse Marco (un altro... ma che strano!) “io Dodici!” Mi gettai sul quel dodici a capofitto, perchè mi sembrava una cosa giusta, tanta, un po' mistica, come i dodici apostoli... oggi mi rendo conto che la religione non offre tutte le risposte, soprattutto per quanto riguarda i numeri. (gesto delle mani a misurare, da grande a piccolo).
Poi dai quattordici anni ai diciotto sei fidanzata con lo stesso ragazzo. Si chiamava... si chiamava non mi ricordo! (ma un altro, sempre... e come ho fatto a dimenticarmi di lui). Ma lui era il bravo ragazzo. Andavamo insieme al liceo, mi veniva a prendere, mi portava i libri, mi aiutava con il latino, il greco, l'italiano, la matematica, la storia, la filosofia, il tram, la cucina, le scarpe, i pantaloni, le calze, le mutandine... oddio... lui è stato il primo...
Il primo uomo con cui fai l'amore è il primo in tutto. Diventa meraviglioso, diventa indispensabile. Tu riempi pagine e pagine con il suo nome, lo reciti come un mantra, lo incastri come le parole crociate, lo anagrammi come il nome di Dio, lo mescoli col tuo... Roberta... Roberta e Marco... MarcoRoba... una specie di cocktail terrificante tra una marca di jeans da bancarella e un evangelista... spacciatore.
Poi viene quello serio. Quello della torta dei diciottanni. Quello che sta ancora su quella maledetta foto a casa dei miei. Sul divano. Il MIO divano che era diventato il SUO divano. Perché loro lo adoravano... lui, il fidanzato: lo scout, il futuro ingegnere, stava simpatico agli zii, alla mia professoressa di greco... per mio padre era il compagno di pesca, per mia madre era il padre dei suoi nipoti. Io, invece, adoravo quel divano che era diventato il suo divano. Il divano che aveva accompagnato le mie notti a guardare i serial d'orrore su retequattro, che mi svegliavo con Emilio Fede e pensavo che c'entrasse in qualche modo con il film, oppure ci leggevo Baudelaire, e sognavo i gatti, e il vino, e quel maledetto spleen. No, con lo spleen, ANTONIO non c'entrava. Anche perché non era Marco.
Poi c'è il buzzurro. C'è sempre, dopo il serio. Per opposizione. Ed entra in scena neanche dopo. Entra in scena DURANTE. E non ditemi che è capitato solo a me. (Guarda il pubblico) ...lei, lei in terza fila: stia dalla mia parte... mi comprenda... ero prigioniera... e lui è venuto come un cavaliere a liberarmi... con quelle spalle larghe, quel sopracciglio austero, quel sorriso beffardo. Quel suo pub fumoso. Non mi ha fatto promesse. Ma mi ha fatta felice. Sono state dodici... ore stupende. Solo io e lui. Lui ed io. Finalmente senza pensare a niente. Perché magari lui non ci arrivava. Ma arrivava altrove. O, almeno, con lui, ci arrivavo, anzi, ci... VENIVO, io. Io e MARCO.
Poi c'è il misterioso. Il cupo. Il tetro. Lo sfuggente. Il poeta, il bohemien. L'artista. Che è meraviglioso. Tutte lo cercano. Lo inseguono. Cercano di tenerlo per loro, di trasformarlo. Volevo farlo anch'io. Mi guardava e quasi mi sorrideva. Mi seguiva, poi spariva. Lo seguivo. E spariva lui.
Per tante e tante volte, quante occasioni negate, quanta fortuna infausta!
Poi ci trovammo davvero in un vicolo. Piovigginava. E lui, lui si voltò. Ci guardammo per un lungo, interminabile istante. Le nostre vite sembravano quelle di tutti gli amanti dell'universo... eravamo lì, sotto la pioggia, un uomo, una donna... il destino infinito. Lui con quell'aspetto da attore consumato, la sua classe, quei movimenti ora bruschi, ora raffinati. E mi disse... “Ma che ombretto... FA-VO-LO-SO... ma cara! devi as-so-lu-ta-men-te dirmelo... ma dove l'hai trovato???”
Poi venne il professore. Marco (ma guarda un po'?) mi affascinò con la sua immensa cultura, con il suo immenso potere di intellettuale, di intellettuale vero. Con lui ero la donna del sessantottino, del rivoluzionario, del grande trascinatore delle folle. Da un convegno all'altro, da una conferenza, ad una notte a suonare canzoni argentine sotto le stelle.
Poi, una volta, mi guardò dritto negli occhi. E la sua luce cambiò. Non erano più i tizzoni ardenti che mi infuocavano e mi rendevano schiava arrendevole ai suoi desideri. E cambiarono. E mi parlò, ad un tratto, mi parlò d'altro... di una vita tranquilla, di una casa in campagna, di un dondolo sotto il pergolato... Mi brillarono gli occhi... mi parlò di matrimonio. Aveva una moglie, e tre figli.
Il manager rampante. E' perfetto. Bello e abbronzato. Macchinona immensa, sicura. Vola da una parte all'altra del mondo, ma che dico, dell'universo. Ti porta a bellissime feste sulle barche. Champagne, caviale.
Ti invita a fine settimana in ville bellissime. Da mille e una notte.
Tutto sul conto aziendale. Purtroppo. Ed io non volli rientrare nelle sue voci di bilancio. Ah... Marco Marco...
Alla fine pensi davvero al principe azzurro: è un puffo. E potete immaginare quanto sia dotato.
Ora mi sono finalmente sposata.
E sono veramente felice.
Ed una storia fantastica.
Il mio amore si chiama... Paola.
(Dalla Piece Teatrale "Pannello di Controllo", di Pasquale Ruggieri e Roberta Tavarilli)