C'è stato un momento della mia vita in cui vivevo davvero con la macchina fotografica, quella a pellicola.
Avevo una Pentax P30T manuale, qualche obiettivo, un paio di Metz a torcia, un cavalletto, una Fiat Uno 45, diciannove anni, molto tempo a disposizione e nessuna preoccupazione per il futuro se non i drammi esitenziali tipici dell'età.
Mi piaceva fotografare le persone, discretamente. Usavo le pellicole bianconero ad alta sensibilità, per svanire dietro un teleobiettivo, o ritrarre i piccoli movimenti delle ombre, nelle luci della sera. Adoravo Henri Cartier-Bresson, ed ero convinto che il taglio della fotografia donasse alle persone quell'alone di perfezione che trascende la realtà. Un po' come la musica nella Nausea di Sartre.
Oppure aspettavo che mietessero il grano sulle colline lucane, e poi bruciassero i campi. E l'odore del grano bruciato, di pane, di natura, di ricordi ancestrali: valeva la pena di arrivare fino lì.
C'era pochissimo Photoshop, anzi, per nulla. C'era la ripresa, lo scatto, la composizione, l'esposizione. Avevo un set completo di filtri da applicare PRIMA di scattare una foto.
C'era la camera buia. E il contrasto con la qualità della carta, del viraggio, della mordenzatura. E sapevo calcolare il tempo di stampa giusto guardano il negativo. Come quando si assaggiano gli spaghetti e si pensa: tra venti secondi sono perfetti.
A sapere che mi sarei guadagnato da vivere così, magari, avrei perso meno tempo.
Perchè le cose da cogliere sfuggono. E, spesso, non ritornano più.
Il resto è marketing.
lunedì 12 settembre 2011
A tempo perso
giovedì 8 settembre 2011
Lost in translation
Domani scatto il servizio istituzionale per la stagione 2012, e oggi con il "Grande Capo" prepariamo il set. Stiamo simulando una sfilata, quindi prospettiva, sfondo, quinte, bianco e nero, e tanto, ma tanto TNT (tessuto non tessuto, per i non addetti ai lavori), che i miei sapienti flash trasformeranno in una autentica passerella. Almeno quelle sono le intenzioni.
"Ndruzzuleisc!!!" grida ad un certo punto il Grande Capo. Ha settantatrè anni, e va ascoltato.
Vi giuro. Io parlo inglese, italiano, gocce di francese (tre, come quelle dello Chanel numero cinque che indossava Marylin per andare a letto).
Volendo anche latino.
Ovviamente, il cozzalo bitontino (che per certi versi mi apre la via alla comprensione del tedesco e ho tutte le gutturali per parlare correttamente l'arabo).
Ma il dialetto stretto di Castellana, un termine così tecnico, subito subito... è fuori d'ogni umana comprensione.
("Ma 'o core sape scrivere?
'O core è analfabeta,
è comm'a nu pùeta ca nun sape cantà.
Se mbroglia... sposta 'e vvirgule...
nu punto ammirativo...
mette nu congiuntivo
addò nun nce 'adda stà...
E tu c' 'o staje a ssèntere
te mbruoglie appriess' a isso,
comme succede spisso...
E addio Felicità!
Eduardo)
[Foto di AP, grazie allo stabilizzatore della Canon 60D, e ad un nuovo piacere di tagliare il vero]
giovedì 1 settembre 2011
Pausa pranzo
Pausa pranzo. Oggi.
Sono anni che ci passo davanti. E non mi sono mai fermato.
Tre cancelletti, tre lucchetti. Non so quindi per chi o per cosa apriranno mai questo posto.
Dovrebbero aprirlo per la memoria.
Sembra un video di The Final Cut dei Pink Floyd, Waters che ricorda tutti gli orrori della guerra, e i sogni di grandezza infranti.
Cantava: "Tieni duro, John, dobbiamo continuare così!".
Già.
E a voler togliere i cipressi, le bandiere, i cannoni... questo resta.
E questo caldo insopportabile, la luce in perpendicolo.
E sarebbe davvero il caso di impacchettare i fantasmi del passato, gli orrori, gli errori che tornano negli incubi (perchè dura il tormento finchè dura la colpa, diceva Borges), perchè appunto, alla fine, questo resta.
E non c'è manco un fiore.
martedì 24 maggio 2011
Nuove risorse per ricamare
Dopo aver dato fondo agli Swarovski...
E' che certe volte uno deve fermarsi, aspettare che le idee gli tornino, prenderla meno sul serio e magari ridere un poco. Anche se non c'è veramente molto da ridere.
Ho proposto lo slogan: COLLEZIONE 2012... LA FINE DEL MONDO...
giovedì 12 maggio 2011
Tentazioni
Ci sono i grandi drammi del mondo, le cose inspiegabili che accadono nella nostra vita e, naturalmente, gli "accidenti" o "incidenti", quelle cose che oltre a non sapermi spiegare, non so neanche prevedere.
Ma vogliamo discutere della parmigiana di melanzane?
(Foto AP, forchetta galeotta. La parmigiana di melanzane, come una brava massaia, l'ho preparata ieri sera. Ed è fuori campo. Per poco, troppo poco.)
martedì 10 maggio 2011
Un buon incassatore
"Tu sei un buon incassatore" mi disse una volta una persona che credevo amica, in una fase un po' turbolenta della mia vita.
Sono un buon incassatore. E' vero. Ho pazienza. Più che pazienza uno stoico principio di sopportazione. E, forse, credo di sapere dove voglio arrivare. E credo di aver imparato a valutare le mie forze, e quanta energia investire per arrivare a qualcosa.
Sono un buon incassatore. Avevo l'abitudine, data da una certa "sensazione di chissà quale superiorità" (semplicemente si chiama irresponsabilità), di passare sopra le cose. Di non chiarirle subito. Era come se per eccesso di democrazia, però, permettessi alla gente di oltrepassare, in varia misura, il limite del mio personale.
Ma non si può sempre dimenticare e perdonare. Perchè, tanto, non serve. Se l'altro ripetutamente ricade nell'errore. Perchè se l'eterna ripetizione dell'errore è tipica dell'Inferno, qui siamo ancora, fortunatamente, sulla terra.
Perchè poi esplodo, come una pentola a pressione.
Perciò, cara signora delle pulizie, che ti aggiri per l'azienda come un orsetto lavatore (orsetto lavatore prossimo al quintale, direi)... sappi che nascondere i cestini dei rifiuti ad uno che è già di suo disordinato, è veramente un colpo basso.
(Foto AP, "parte" della sua scrivania perennemente incasinata).
giovedì 5 maggio 2011
Finzioni
Sarà... ma certe volte ho l'impressione che siamo davvero noi ad immaginarci tutto... come se quando abbiamo fatto certe cose, certe scelte, quando abbiamo vissuto situazioni abbiamo avuto davvero il prosciutto davanti agli occhi.
Perchè a voler vederle da una certa distanza.... son come le rose rampicanti.
Sottili, eroiche... e maledettamente lontane.
(In realtà son tutti discorsi miei... "certe cose", "certi eventi", "certe situazioni". Meglio non dire. Però mi sarebbe piaciuto esserci in altra forma... per prendermi a calci. Ma alle soglie dei quaranta è bello volere così bene al proprio passato. Calci compresi. Del resto, poteva andarci anche peggio, tipo che avrebbe potuto piovere.)
(Rose rampicanti a Roma, fuori Santo Stefano Rotondo. 2003. Che era meglio stare da un'altra parte... che è stato come per gli Americani andare in Vietnam: alla fine ci si è rimesso... e ci si è fatti solo un sacco di film.)