sabato 29 dicembre 2007

La multa




Entra in scena sventolando una multa in mano, molto molto arrabbiata.



(Parla tutto d'un fiato, visibilmente eccitata)



Ecco, non è possibile, ancora!



Non ce la faccio più, è diventata un'ossessione: me lo ritrovo anche in sogno, mi perseguita!



Ma oggi ero sicura di essere stata attenta, fin dall'inizio: ho acceso la macchina, ho messo la retromarcia e stavolta ho guardato pure dallo specchietto retrovisore.



Mi sono truccata a casa: nessuno mi può dare colpa. E ho ricevuto solo tre telefonate. Ne ho fatte sei, io... ma che c'entra... mica uno può uscire dalla società solo perché sta guidando... ma ho messo tutte le frecce che dovevo mettere. Ho messo pure le quattro frecce ogni tanto.



Mentre guidavo ho sentito solo tre volte un clacson suonare contro di me. Sono stata attenta... (sognante) Ma che bello quel pezzo dei Village People... (canta) YMCA... (ripete il ritornello a voce alta) e poi ho guidato solo dieci minuti. E poi stavo al semaforo mentre cantavo. Cantavo... canticchiavo! Ma era un semaforo o uno stop? Comunque sono convinta che avrei dovuto fermarmi. E mi sono fermata.



Fatto sta che ora decido di parcheggiare... faccio un parcheggio regolarissimo, proprio da scuola guida, mi metto a destra della macchina, sterzo... dopo un po' sterzo dall'altro lato... non so esattamente quando, ma mi è riuscito bene, solo le ruote non sono proprio attaccate al marciapiede... ma ho i tacchi.



Ho fatto le cose da manuale, come dovevano essere fatte.



Ma c'è LUI, maledetto, che mi perseguita.



Ormai mi odia, ne sono convinta, mi ha puntata, ha deciso che sono io la sua vittima, e la sua vittima sono (sventola la multa).



Io non voglio dare la colpa all'autorità, ma deve capire che il passo carrabile si mette LUI sempre davanti alla mia macchina...



(Dalla piece teatrale "Pannello di Controllo" di Pasquale Ruggieri e Roberta Tavarilli)



(Roberta Tavarilli fotografata da Pasquale Ruggieri, in arte AmorPlatonico)

Sarà



Sarà che guardo sempre di più i particolari.

Sarà che adoro il mio 500 millimetri.

Sarà che uso Photoshop come la camera buia quindici anni fa.

Sarà anche che due giorni di influenza modificano di gran lunga le proprie capacità mentali.

Stravolgimenti nella fisica

L'inverno e l'influenza portano a nuove scoperte nell'ambito della fisica.



Gli stati della materia conosciuti sono ora cinque:

1) solido (mattoni, salame, panettone)

2) liquido (acqua, vino, cognac, whiskey)

3) gassoso (aria di mare, aria di casa mia, aria di libertà, fumi vari, legali o illegali se non in modica quantità)

4) plasma (non quello sanguigno)

5) diarrea.



Il quinto stato è catastrofico, molto, molto vicino all'antimateria.



(Se fosse gentilmente possibile richiamare il dinosauro che da due giorni ha le zampe sulla mia pancia, sarebbe cosa assai gradita).

mercoledì 26 dicembre 2007

Tempismo



Qualche mese fa mi avevano commissionato la foto di un gabbiano. E impazzii per due o tre giorni perché non ne trovavo.

Oggi l'intero mare davanti casa mia è pieno di macchie bianche. E ognuna di queste è un gabbiano, una albatros, una gabbianella.

Io sto per andare via di qui, e tra poco non sarà più questo quanto vedrò ogni mattina.

Si chiama tempismo.

Come nella vita, come nell'amore.

Ci sono certe situazioni che si incastrano stranamente, e buffamente.

Una specie di stanza delle occasioni mancate.

E altre occasioni si presentano all'orizzonte, perché le scelte sono ponderate, e profumano di nuovo, e di bello.

Il mare c'è anche lì dove mi sto trasferendo, a pochi metri. Si faranno due passi, due passi in più. E sono al centro di un mondo che mi sto costruendo attorno. Ed è la casa che mi si cuce addosso. Credo.

Sembra che il mondo degli addii sia colorato di perfezione, come se fosse il colpo di coda di un qualcosa che non vuole essere abbandonato.

Io, per non saper né leggere né scrivere, ho imparato a ricordare: questo mondo che mi saluta me lo porto con me così.



(Gli addii si colorano di perfezione perché hanno assunto immediatamente il carattere del ricordo, perché sono praticamente irreversibili. Il bello sarebbe gustarsi così il resto della vita. Ci stiamo attrezzando.)

martedì 25 dicembre 2007

Sorprese di Natale

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L'edizione è veramente antica. E il gatto si chiama Cagliostro. A buon intenditor.

domenica 23 dicembre 2007

AAA

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Cercasi donna intelligente

Possibilmente naturale.

Da non ricostruire con il Photoshop del cuore, che non sta bene...



(Alcuni affermano che cercando "donna intelligente" su Google, si mandi in crash il computer).

 

venerdì 21 dicembre 2007

Fenomenologia del fidanzato






Fenomenologia del fidanzato.


Il primo fidanzatino: è proprio quello dell'asilo. In realtà mi hanno detto che mi sono fidanzata direttamente tra le incubatrici, ma non ci sono documenti attendibili. Sembra che il primo uomo che mi abbia toccata mi abbia tenuta a testa in giù e mi abbia presa a sculacciate. Il mio psicanalista mi conferma che è per questo che mi eccitano i camici e quelli che mi fanno soffrire, non necessariamente in quest'ordine.

Il fidanzatino dell'asilo si chiama sempre Marco. Poteva essere anche Luca. Ma questa la racconto a Milano. A Bari dovrebbe essere Nicola, però a me piaceva Marco.

Marco era piccolo. Era davvero piccolo. Piccolo e biondo. Se pensate che io sia Barbie, e lui quindi Ken, vi sbagliate. Io sono Barbie. Lui è Marco. Per questo non ha funzionato.

Anche perchè Io non lo sapevo nemmeno. Ma ora lui è nei miei sogni.



Il primo della classe. E' sempre alle elementari. Poi, magari, crescendo, si guasta. Ha i riccioli. Gli occhi chiari. E' un po' timido, e paffutello. Piace alle maestre, alle mamme, e, quindi, inevitabilmente, anche a me. Ed io ero innamorata di lui perché in realtà non mi cagava di striscio. Perché a quella età, gli uomini sembrano così maturi. E questo vizio mi è rimasto. Ma non è maturità: è il testosterone che non c'è ancora. Anche lui si chiamava Marco.

Ora Marco fa il marittimo sulla Bari-Patrasso.



Ma è alle medie che i ragazzi scoprono veramente le ragazze. E si comincia con i primi baci. E le prime misure. La mia era già una terza, per intenderci, promettevo bene. Loro si misuravano altro. E lo urlavano. “Otto!”, “No! Io dieci!”, “Perdenti!” disse Marco (un altro... ma che strano!) “io Dodici!” Mi gettai sul quel dodici a capofitto, perchè mi sembrava una cosa giusta, tanta, un po' mistica, come i dodici apostoli... oggi mi rendo conto che la religione non offre tutte le risposte, soprattutto per quanto riguarda i numeri. (gesto delle mani a misurare, da grande a piccolo).



Poi dai quattordici anni ai diciotto sei fidanzata con lo stesso ragazzo. Si chiamava... si chiamava  non mi ricordo! (ma un altro, sempre... e come ho fatto a dimenticarmi di lui). Ma lui era il bravo ragazzo. Andavamo insieme al liceo, mi veniva a prendere, mi portava i libri, mi aiutava con il latino, il greco, l'italiano, la matematica, la storia, la filosofia, il tram, la cucina, le scarpe, i pantaloni, le calze, le mutandine... oddio... lui è stato il primo...



Il primo uomo con cui fai l'amore è il primo in tutto. Diventa meraviglioso, diventa indispensabile. Tu riempi pagine e pagine con il suo nome, lo reciti come un mantra, lo incastri come le parole crociate, lo anagrammi come il nome di Dio, lo mescoli col tuo... Roberta... Roberta e Marco... MarcoRoba... una specie di cocktail terrificante tra una marca di jeans da bancarella e un evangelista... spacciatore.



Poi viene quello serio. Quello della torta dei diciottanni. Quello che sta ancora su quella maledetta foto a casa dei miei. Sul divano. Il MIO divano che era diventato il SUO divano. Perché loro lo adoravano... lui, il fidanzato: lo scout, il futuro ingegnere, stava simpatico agli zii, alla mia professoressa di greco...  per mio padre era il compagno di pesca, per mia madre era il padre dei suoi nipoti. Io, invece, adoravo quel divano che era diventato il suo divano. Il divano che aveva accompagnato le mie notti a guardare i serial d'orrore su retequattro, che mi svegliavo con Emilio Fede e pensavo che c'entrasse in qualche modo con il film, oppure ci leggevo Baudelaire, e sognavo i gatti, e il vino, e quel maledetto spleen. No, con lo spleen, ANTONIO non c'entrava. Anche perché non era Marco.



Poi c'è il buzzurro. C'è sempre, dopo il serio. Per opposizione. Ed entra in scena neanche dopo. Entra in scena DURANTE. E non ditemi che è capitato solo a me. (Guarda il pubblico) ...lei, lei in terza fila: stia dalla mia parte... mi comprenda... ero prigioniera... e lui è venuto come un cavaliere a liberarmi... con quelle spalle larghe, quel sopracciglio austero, quel sorriso beffardo. Quel suo pub fumoso. Non mi ha fatto promesse. Ma mi ha fatta felice. Sono state dodici... ore stupende. Solo io e lui. Lui ed io.  Finalmente senza pensare a niente. Perché magari lui non ci arrivava. Ma arrivava altrove. O, almeno, con lui, ci arrivavo, anzi, ci... VENIVO, io. Io e MARCO.



Poi c'è il misterioso. Il cupo. Il tetro. Lo sfuggente. Il poeta, il bohemien. L'artista. Che è meraviglioso. Tutte lo cercano. Lo inseguono. Cercano di tenerlo per loro, di trasformarlo. Volevo farlo anch'io. Mi guardava e quasi mi sorrideva. Mi seguiva, poi spariva. Lo seguivo. E spariva lui.

Per tante e tante volte, quante occasioni negate, quanta fortuna infausta!

Poi ci trovammo davvero in un vicolo. Piovigginava. E lui, lui si voltò. Ci guardammo per un lungo, interminabile istante. Le nostre vite sembravano quelle di tutti gli amanti dell'universo... eravamo lì, sotto la pioggia, un uomo, una donna... il destino infinito. Lui con quell'aspetto da attore consumato, la sua classe, quei movimenti ora bruschi, ora raffinati. E mi disse... “Ma che ombretto... FA-VO-LO-SO... ma cara! devi as-so-lu-ta-men-te dirmelo... ma dove l'hai trovato???”



Poi venne il professore. Marco (ma guarda un po'?) mi affascinò con la sua immensa cultura, con il suo immenso potere di intellettuale, di intellettuale vero. Con lui ero la donna del sessantottino, del rivoluzionario, del grande trascinatore delle folle. Da un convegno all'altro, da una conferenza, ad una notte a suonare canzoni argentine sotto le stelle.

Poi, una volta, mi guardò dritto negli occhi. E la sua luce cambiò. Non erano più i tizzoni ardenti che mi infuocavano e mi rendevano schiava arrendevole ai suoi desideri. E cambiarono. E mi parlò, ad un tratto, mi parlò d'altro... di una vita tranquilla, di una casa in campagna, di un dondolo sotto il pergolato... Mi brillarono gli occhi... mi parlò di matrimonio. Aveva una moglie, e tre figli.



Il manager rampante. E' perfetto. Bello e abbronzato. Macchinona immensa, sicura. Vola da una parte all'altra del mondo, ma che dico, dell'universo. Ti porta a bellissime feste sulle barche. Champagne, caviale.

Ti invita a fine settimana in ville bellissime. Da mille e una notte.

Tutto sul conto aziendale. Purtroppo. Ed io non volli rientrare nelle sue voci di bilancio. Ah... Marco Marco...



Alla fine pensi davvero al principe azzurro: è un puffo. E potete immaginare quanto sia dotato.



Ora mi sono finalmente sposata.

E sono veramente felice.

Ed una storia fantastica.

Il mio amore si chiama... Paola.



(Dalla Piece Teatrale "Pannello di Controllo", di Pasquale Ruggieri e Roberta Tavarilli)







venerdì 7 dicembre 2007

Istruzioni per l'uso

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"Tu sei piena di te

in tre occasioni:

quando mangi, perché ti vedo...

quando ti spazzoli i capelli, perché ti senti donna...

e quando fai l'amore."



Faccio un pessimo lavoro.



(Foto di Amorplatonico)

 

lunedì 26 novembre 2007

Ogni tanto



Ogni tanto, mentre lavoro distolgo lo sguardo.



(Foto di AmorPlatonico, Libreria Zanaboni, Torino, durante la presentazione di un libro.)

sabato 24 novembre 2007

Istruzioni per l'uso



Dopo un po', generalmente, si chiudono gli occhi.

E l'arte s'invola.



(Ma oggi sto pensando altro. Sarete presto informati.)

lunedì 19 novembre 2007

Nel cielo sopra noi...



Mi ricordo una canzone di Alice.



"Nuvole

si inseguono cercandosi le nuvole

son vecchi dirigibili le nuvole

nuvole

a quanti amanti parlano le nuvole

nel cielo sopra noi

mi chiedo a chi appartengono

mi volto e trovo l'orizzonte

dei tuoi occhi intriso di ricordi e di sogni e di nuvole.

Giorni passati a scrutare nel cielo

segnali lontani, figure straniere così,

senza cercare di più.


Nuvole

ma quanti mondi vedono le nuvole

dal cielo sopra noi

mi chiedo se ci parlano

mi volto e trovo l'orizzonte. dei tuoi occhi

intriso di racconti e di luci e di nuvole

Giorni passati a scrutare nel cielo

segnali lontani, figure straniere

ragioni di vita sentite dal cuore così,

senza volere di più."


Già, senza volere di più.



Da quando la banca non mi chiama piu' per rompermi gli zebedei sto diventando troppo romantico.

Domani quasi quasi vado e chiedo un fido...



(Foto di AmorPlatonico, Cilento, Mare d'Inverno. Il tizio, stavolta, non l'ho pagato)







"

sabato 17 novembre 2007

Caravaggio



Dedicato a chi

legge ma non legge, ed è convinto di sapere,

sente ma non sente, ed è convinto di conoscerti,

guarda ma non guarda, ed è convinto di aver visto il mondo.



Perché la vita è una forte emozione, mentre per molti è un continuo e fastidioso brusio. Di bellezza.



L'ignoranza è forza, scriveva Orwell.



Senza scomodare Socrate...

giovedì 15 novembre 2007

Faith

       






Alla fine ti ho pure sognata.



Sarà stata l'aria di Roma vicino casa tua.



Sarà stato vedere la scalinata di San Pietro e Paolo, dove scendevi come una dea ed io mi son detto "Madonna, questa donna io l'amo".



Sarà questa luce che apre il cielo e segna i contrasti, o quel brano di Keith Jarreth nell'MP3 che mi ha ricordato di quando l'MP3 non ce l'avevo nemmeno e forse non c'era nemmeno, e tu mi dicesti "Questa è via Dandolo, ti ricordi Caro Diario di Moretti?"... ed il cd galeotto suonò The Koln Concert ed entrambi sorridemmo...



Sarà la Laurentina, ogni volta che la prendo, incasinata come non mai o deserta alle quattro di notte, che mi ricorda il mio amico che mi chiede "allora ceni con noi stasera?" ed io che declino ogni volta l'invito e corro da te.



E saranno ancora i fiorai agli angoli delle strade e tutte le rose che ti ho regalato, e quelle spedite per dirti "ti penso" e tutti i pensieri di quando credevo "ora mollo tutto e vengo a vivere dietro casa tua".



E del profumo di Roma quando piove, l'odore delle foglie, perché a me sembra che questo odore ci sia solo qui, e noi mano nella mano che ridiamo come bambini, raccontandoci di Brunelleschi e Caravaggio, e le storie di Roma cinquecentesca, e le stalle di Castel Sant'Angelo, e i cannoni, e le palle di pietra.



E poi ancora di quando scherzavamo chiamando nel parco i bambini che avremmo avuto e, chissà perché, sono i nomi che mi piacciono di più.



E l'odore dell'erba della collina lì, dietro il Colosseo Quadrato, quando spalmati sul prato ci guardavamo le nostre foto e ci regalavamo libri galeotti, e l'aria respirava di metafisica.



E il tuo Rilke e il mio Borges, entrambi commentati e sottolineati a parlare di noi oltre noi.



E quando ci perdemmo dietro il Ponte Flaminio e la strada per lasciarti si allungò di qualche ora, e si perse anche il navigatore, e si perse anche la notte, che era una di quelle notti che non dovevano finire mai, si persero Paolo Conte e tutte le nostre migliori intenzioni.



E un abbraccio, la prima volta, non voluto e non cercato.



E quel calore, quella sensazione che entrambi ci siamo dichiarati: è stato allora che ho capito.



E cinquecento chilometri tornando a casa, dicendomi "no, non può essere, sono innamorato".



E poi buio.



E poi cercarci.



"Devo dirti una cosa: mi sto innamorando di te."

"Devo dirti una cosa: anch'io".



E la storia la ricordo a ritroso, come il video di Return to Innocence. Il ritorno all'innocenza.



Perché sei innocente.



Perché quando esci, ti lavi il viso, ti sciogli i capelli ed esci, così come sei, e sei bellissima.



E alla fine ti ho pure sognata.



Perché quando un amico ti chiede: "ma tu che ti sei innamorato tante volte... poi... esiste qualcosa che una donna ti ha lasciato che ti manca quando è finita?"...

...alla fine te lo chiedi davvero, e ci pensi.



E non sono cinico, come qualcuno mi definisce...  semmai realista. E la realtà fa male a chi preferisce il sogno ad occhi aperti.



E' stato bellissimo.



E, se non ci fosse stato, la mia vita avrebbe un pezzo di bellezza in meno.



Spero che tu sia felice.



Io, qui, leggo:



UN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI

DI SANTI DI PENSATORI DI SCIENZIATI

DI NAVIGATORI DI TRASMIGRATORI



e penso a me, qui, ora, alla mia vita e a quello che sono, e un sorriso mi spunta sulle labbra.



(Foto, come sempre, di AmorPlatonico. Roma, Palazzo della Civiltà Italiana o Colosseo Quadrato, EUR, cielo gentilmente offerto dalla Città Eterna, profumo non documentabile, bianconero di Photoshop, ma il contrasto c'era davvero. Se non vogliamo prenderci altre responsabilità, incolpiamo pure la Falanghina, tra l'altro ben al di sotto della modica quantità. Mai postare le foto e poi addormentarsi.)

Shadow, light.



lroma06

lroma01

sabato 3 novembre 2007

Ontologia da sabato pomeriggio



L'esperienza

risponde con la

statistica

alle domande che

la vita

pone alla

filosofia



(foto e ontologia di AmorPlatonico)

venerdì 2 novembre 2007

Tutti i particolari in cronaca



"Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano di gocciole e foglie

lontane."



(Gabriele D'Annunzio, La Pioggia nel Pineto).



Mi piace davvero tanto questa poesia. E' una sequenza di ritmi, di parole, di immagini che evocano l'incanto. E penso ad Ermione e a tutti i suoi volti, i suoi sguardi, i suoi movimenti.



Perché ho bisogno di grazia, intorno. Perché la bellezza è fascino. Perché questa estetica, che è completezza, diventa etica.



Altrimenti, si dissolve al vento.



Ma che bel vento!



Dove sei, Ermione?

mercoledì 31 ottobre 2007

Non lo faccio mai



Questa foto mi ha fatto pensare a Silvia. E gliela dedico. A che servono gli amici se no?

Vedo rosso



lredroom02

Credo che sia il colore rosso, e la penombra, ad ispirare un certo tipo di visioni, o di desideri (che qualche volta son la stessa cosa).

Quando penso a questa luce, penso a quello che si vede chiudendo gli occhi e guardando il sole. Come se fosse una penombra prenatale.

E poi, non dimentichiamolo, è il colore della passione.

Sarà per questo motivo?



(Foto di AmorPlatonico, Taverna Vecchia del Maltese, Bari)

martedì 30 ottobre 2007

lunedì 29 ottobre 2007

United Colors of AmorPlatonico

pier2

L'Amore non viene mai perfettamente a fuoco.



Meno male.



Ma ha sempre dei colori stupendi.



(Foto di AmorPlatonico, Taverna Vecchia del Maltese)

giovedì 25 ottobre 2007

Ma tutto questo è già più di tanto

gabbianoÈ una notte in Italia che vedi

questo taglio di luna

freddo come una lama qualunque

e grande come la nostra fortuna

che è poi la fortuna di chi vive adesso

questo tempo sbandato

questa notte che corre

e il futuro che viene

a darci fiato.



(Ivano Fossati, Una Notte in Italia)



L'effetto che fa su di me la musica (e la poesia) di Fossati è una specie di caldo abbraccio.

Fossati scrive per immagini, come se ogni strofa fosse una fotografia. Descrive passo dopo passo delle emozioni, e poi, alla fine, due versi per commentare, come una didascalia.



Solo che Fossati va dentro le cose. E, come i grandi fotografi, non racconta un evento, ma racconta una storia, una emozione attraverso la descrizione di una realtà.



E questa musica ha sempre accompagnato la mia vita. E il "taglio di luna" mi ha ricordato un amore, perchè ogni amore è quell'amore.



E ho guardato al futuro, e a quanto è incasinata, ma bellissima, la vita. E la tristezza va via.



E non riesco a capire quelli che di Fossati dicono... che è triste.



Sarà.



Per me son persone che non ascoltano. Ma non che non ascoltano Fossati. Non ascoltano e basta. Han bisogno di rumore sempre uguale, con titoli diversi, per non sentire l'urlo della solitudine.



Ma tutto questo è già più di tanto...



(Effetti deleteri di un pomeriggio di Photoshop. Un tempo, quando stampavi, uscivi che puzzavi di acido, e di ammoniaca. Insomma, eri rinco e puzzavi di piscio di gallina. Ora, Photoshop è asettico. Ma crea assuefazione.)

venerdì 19 ottobre 2007

Cogli la prima mela



Lei: Il mio uomo ideale è ironico, intelligente, spiritoso, sensibile, colto, profondo...

Io: Perché continui a descrivermi?

Lei: (ride)

Io: Cameriere! un altro calice di inzolia!



(foto di AmorPlatonico, Bacche in Sila Piccola)

giovedì 18 ottobre 2007

Tramonto occidentale

dervisci

Statale 115 orientale sicula.

Alle 18.30, il cielo si è aperto e ci ha regalato un tramonto con quello che chiamo sempre "l'universo di sole basso".

Son cose.

Eravamo di fretta, ci aspettavano, e non è stato assolutamente possibile scattare una foto al disco rosso del sole tagliato dalle nuvole.

E' stato un tramonto da cartone animato...

... quelli in cui si vede l'Arcadia di Capitan Harlock che vola verso l'infinito, via dalla Terra.

Io con quei tramonti, quei tramonti di cartone, ci son cresciuto.

Ora, me li godo, sempre.



E quando un mio amico fotografo mi ricorda... che quando non riesce a scattare una fotografia se la "scrive" per rifarla quando ricapita la stessa scena...



... beh... non so se son d'accordo. Piu' o meno la foto la rifai... ma è come amare una donna diversa con il desiderio di quella prima.



Mah...

martedì 16 ottobre 2007

Zoom

















Non so se sono questi contrasti

che mi ricordano le inner sleeve di "Orizzonti Perduti" di Battiato

e di come son cresciuto con certa musica o certa cultura...



... sta di fatto che la felicità è una questione di punti di vista

di prospettive

e, qualche volta,

di giuste voci.



(E mille barbagli trafiggono le palpebre...)



(foto di AmorPlatonico, mare di Staletti)

venerdì 5 ottobre 2007

Dedicato.



E' ufficiale. Esce a Natale.

Il mio primo libro.



E sarà dedicato ai bambini.



Perché loro è la speranza.



L'innocenza non è qualcosa di cui doversi vergognare. Eppure...

...eppure quando penso che la gente piccola si fa del male gratuito per quattro spiccioli, vomito.



C'è un momento, nella vita, in cui il bambino che c'è in noi vomita anche lui, esce a compare le sigarette e non torna più.



Il disegno è del piccolo Francesco, dieci anni, figlio della mia editor.

Ieri mi ha visto così.



Non sono così stempiato, ma mi ha tolto qualche chilo, il che non guasta.



Ma disegna bene, il cucciolo. Coglie l'anima. E ha anche un che di cubista. Un piccolo Picasso.



Son cose.

giovedì 4 ottobre 2007

L'esclusa

backstage

Certe volte dire che la felicità è dietro l'angolo sembra una banalità.



(Foto di Amorplatonico, Mare dietro casa sua. Dedicato alla Francese)

martedì 2 ottobre 2007

Le grandi domande



C'è una cosa che odio davvero. Ma davvero tanto. E' stendere il bucato. Un po' di meno, odio ritirare il bucato.

Dopo rinvii dovuti al fatto che la mia cara lavatrice ha deciso di non fare l'ultimo risciacquo (probabilmente hanno installato al posto del programmatore a ruota una copia di Windows Vista), mi affaccio sul mitico vicolo a stendere.

Esce il mio vicino di casa, a fare lo stesso. Ci salutiamo.

- Ue'!

- Ue'! (saluto del maschio adulto)

- Tutto bene?

- Sì, tu?

- Tutto bene! (conversazione massima del maschio adulto)

- Io odio stendere!

- Io invece mi rilasso!



Ora: io adoro il mio lavoro. E odio stendere. Mi fa innervosire.

Se stendere ti rilassa, hai qualcosa che non va, o dentro di te si agita un futuro proprietario di una catena di lavanderie. O, peggio, te lo ha detto tua moglie: esci, e stendi il bucato!



Attanagliato da questo dubbio, vi lascio con la grande questione occulta sulla moltiplicazione dei calzini. Dalla lavatrice ne escono sempre di piu' di quanti ce ne metti.



Poi, giuro, non so.



(Foto di Amorplatonico)

domenica 30 settembre 2007

Che cos'è l'amor (parte seconda - Donna Moderna risponde)

Riporto un comment degno di nota e di risposta pubblica per la sua dolcezza ed emblematicità.



Apprezzo la sincerità negli uomini.



Facciamo una premessa: noi uomini, come ha modo di enunciare Luttazzi, o siamo eccitati, o abbiamo fame. Il resto è poesia.

Siamo sinceri quel tanto che basta a non schifarci con noi stessi. Ad un certo punto, prevale la bestia che c'è in noi. Non possimo farci nulla, è natura.



Ma quelle conclusioni spesso le tenete per voi, non vi sognereste mai di andare dalla donna del momento e dichiarare apertamente: tu sei parte di quella donna che cerco in tutte le donne.

"Tu somigli a qualcosa che mi è rimasto nel cuore o solo nell'immaginario".



La prossima volta che la mia amica psichiatra mi rompe col fatto che cerchiamo in ogni donna la mamma, giuro, giuro che le buco tutte e quattro le gomme. Vedeste mia madre, chiedereste la castrazione chimica. Vedeste mio padre, o, meglio, quello che mia madre ha fatto a mio padre, chiedereste anche quella fisica. Pure senza anestesia.



Invece riuscite a farla sentire UNICA, irresistibile, vitale ed eterna e poi assopire il tutto o distrarvi verso altri orizzonti.




Testosterone, babe. Testosterone.



Siete degli inguaribili bugiardi (e lo dico con affetto e simpatia), purtroppo dall'altra parte c'è chi ancora ci crede e basa la propria esistenza al momento dell'incontro con quest'uomo che la fa sentire meravigliosamente bene... nonostante le esperienze portino inevitabilmente alle stesse conclusioni.



Brutta gente hai incontrato! E, comunque, si sta bene da soli. In due, è piu' divertente. Ma non mi venite a raccontare la storia della mezza mela.

Io sono un carciofo.



Leggo sorridendo e in fondo non vi si può portare rancore.

M


Meno male!



Fuor dello scherzo... consideriamo che il "fruscio di scopa nuova" e la voglia di provare l'ebbrezza dell'innamoramento ci fa essere migliori di quello che siamo, ci fa mentire, ma a fin di bene, per sembrare belli, puliti, pettinati (sto citando Fossati e il mio parrucchiere). In realtà è come quando ci si tira a lucido. In realtà siamo mediamente peggio.

O dovremmo applicare la stupenda regola zen: tieni sempre in ordine la tua casa come se dovessero arrivare ospiti.

Generalmente si mente in due, perchè l'innamoramento è bello.

L'amore è un'altra cosa.

Magari ti svegli con la conquista accanto e vorresti scappare dalla finestra. Ma lei abita all'ottavo piano e il costume da batman non ve lo siete portato.



Io, quando mi rendo conto di incontrare una donna che mi ricorda l'arcano... allora comincio a chiedermi che cos'è questo arcano. E man mano che passa il tempo, e la conoscenza di sè, L'arcano ha sempre meno le sembianze di Barbie e sempre più quelle di qualcosa di reale. Maledettamente complesso, maledettamente affine, ma maledettamente reale.



Poi se vogliamo giocare ad attaccare il cervello di Einstein a Ken, non sappiamo quello che accade: non parliamo dell'immenso senso di masochismo che avete voi donne. Vi consumate davanti ad un sogno, che magari puzza e non sa usare il congiuntivo. Giusto per non perdere un investimento iniziale.

Non dovreste scrivere a Donna Moderna, ma al Sole24ore.



E il testosterone, quello, non l'abbiamo solo noi uomini.

Quindi, per la colpa, si fa a mezzo.



D'accordo???

Splendide previsioni



Una volta la mia ex moglie mi apostrofò (era solita apostrofarmi, ma penso che questa attività grammaticale non sia una prerogativa della mia ex soltanto):



Domenica, davanti allo specchio del bagno.



IO: "Amore(*), un altro capello bianco... porcamiseria!!!"



EX: "Dovresti tagliarti i capelli, tu e quell'amico tuo (riferendosi al mio compagno d'avventure, con il quale c'era un misterioso rapporto di rispetto - timore)...

... altrimenti quando diventeranno tutti bianchi saresti come uno di quei tristissimi individui che girano con quelle chiome bianche o quei ridicolissimi codini... quelli che non vogliono accettare che il tempo passa anche e sopratutto per loro..."



Ora... io i miei capelli bianchi ce li ho. Sono ancora pochi. E maledettamente lunghi come gli altri.

So per certo che sono anche i piu' resistenti.



A me non interessa.



Mi piacciono, sono parte di me.



A quanto pare, non dispiacciono alle mie nuove conquiste.



Ogni tanto, quando lavoro, li lego anch'io in quel triste codino di cui sopra, altrimenti si spalmano sulla macchina fotografica.



Per adesso, Amore mio (*), non mi sento vecchio.



E a guardare bene in giro, anche nel caso di imbiancamento totale della chioma, non pare che il fascino diminuisca.



E non sembriamo nemmeno ridicoli.



(*) La chiamo sempre Amore Mio, anche davanti al giudice.

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Foto di AmorPlatonico, inaugurazione della Taverna Nuova del Maltese, a Bari.

Il titolo del post è gentilmente preso in prestito da Battiato. Sentitamente ringrazio.

mercoledì 26 settembre 2007

Nuda Veritas



"...e sarà la prima che incontri per strada

che tucoprirai d'oro per un bacio mai dato

per un amore nuovo..."

(De Andrè, La canzone dell'amore perduto)



Sarà...



(Maledetto De Andrè. E Klimt, lo sai, è un colpo basso, bassissimo, completamente sleale. Fortunatamente hai evitato Borges. Sarebbe stata la catastrofe. La resa incondizionata).

martedì 25 settembre 2007

Che cos'è l'amor...



All'inizio pensavo fosse un turbine. Qualcosa di potente che dovesse scuotere non solo i sensi. E che dovesse durare per sempre. Perché all'inizio tu pensi che sia per sempre. Sempre. E non lo pensi. Lo credi. E magari ti adoperi perché sia per sempre. Magari parti bene. Magari lei assomiglia alle principesse delle favole. Perché l'amore è una favola.



E mi ricordavo l'incanto della Pioggia del Pineto di D'Annunzio, l'ultimo anno di liceo. Perché la poesia è degli uomini. Perché cercano parole suadenti per raccontare l'amore alle donne. Che la poesia invece la vivono. Sempre. E per sempre. Anche quando sono scanzonate, e sono tristi, e hanno sofferto.



E mi ricordo la favola bella, che oggi m'illude. E mi ricordo Ermione. E mi ricordo i suoi occhi, perchè la mia Ermione aveva degli occhi, dei capelli, un sorriso, delle movenze, tutte reali.

Perché per me quell'amore era una Musa, non una semplice donna, se dire semplice può essere vero.



E mi ricordo una canzone di David Bowie che raccontava di Ermione. E il duca bianco con la sua voce effettata. E quella chitarra decadente. E gli occhi di lei, e i suoi baci. E quei versi, scritti tanto tempo dopo su un pezzo di carta. Da lei a me. Da una donna ad un uomo. Così. Perché si ricostruisse il sogno.



E dopo un'altra, un'altra ancora.



E nuove poesie, o sempre quelle perché l'amore è ricercare la stessa donna in tutte le donne.



Finché non la si incontra.



Perché in realtà non la incontri. Non esiste davvero. La ricordi. Perché è dentro di te.



E allora ti confondi, perché nessuna fuori sembra reale.



E allora non è reale neanche quella dentro di te.



E allora ti giochi la carta dell'intelligenza, del fascino.



E allora ti inventi una favola bella. Una nuova favola bella.



E ti dici: no, non possono essere degli occhi, perché quelli non sono occhi. Sono immagini che assomigliano a ricordi. E non si gioca una vita sui ricordi.



E quindi pensi che sia questo, e le affinità elettive. E magari funziona.



Ma poi ti reinventi troppe volte. E non si fa così.



E poi reincontri ancora quegli occhi, quello sguardo. Quella principessa dei sogni...



E ci ricadi.



Stavolta, però, prima, ti finisci il whiskey on the rocks.

giovedì 20 settembre 2007

Più di mille parole.



La cosa che mi piace di più del fare ritratti, anche quelli su commissione, anzi, sopratutto quelli, è quando si stabilisce quel feeling meraviglioso, una specie di transfert, tra fotografo e soggetto, e si crea quell'armonia che tira fuori la parte più bella del soggetto e, al tempo stesso, mi permette di raccontare, attraverso uno sguardo, un gesto, un gioco di luci, la bellezza del mondo.



Finchè sarà così, non riuscirò a chiamarlo mai lavoro.



La parola giusta sarebbe "amore" o "passione".



Il che riporta ad un sacco di altre (belle) cose.

sabato 15 settembre 2007

Alba, tramonto



Il grande inganno degli opposti è che, a un certo punto, combaciano.



Con buona pace di tutti.



(Questo è un post talmente ermetico che se me lo spiegate voi, vi ringrazio)



Foto di AmorPlatonico. Salento. Tramonto.

sabato 8 settembre 2007

Bloggers inside



E' inutile, siamo tutti bloggers.

Qualcuno imbratta la rete anche se non sa cosa scrivere, ma solo per un desiderio di egoistica onnipotenza.

Qualcun altro non ha la connessione ADSL.

Io sono uno della prima categoria.

E voi?

giovedì 6 settembre 2007

La realtà è un'opinione.





Davanti ad una mia cliente:



Venditrice di atelier: Allora questo non le piace?

Cliente: No...

VdA: Ma allora questo e questo e questo...

Cliente: No, davvero, lo vorrei così...

VdA: Come questo?

Cliente: NO!

VdA: Signorina, lei ha delle idee chiare. Ma un po' confuse.



Donne.

Per questo vi adoro!



(foto di AmorPlatonico)

mercoledì 5 settembre 2007

Domani, domani



Questa mattina il caldo ha finalmente ceduto il posto ad un bel vento di tramontana, interrotto da un sanissimo e sacrosanto scroscio di pioggia.

Poi, finalmente, il cielo si è aperto, ed è venuta fuori una luce meravigliosa.

Inforco il tele... punto verso l'estremità del porto, dove pareva che stesse per apparire Nettuno a chiedere un caffè...

Mentre stava per descriversi l'immenso, è apparsa una scritta terrificante: LOW BATTERY, e la Canon si è rifiutata di fare qualunque cosa.

Ed io mi sono stampato negli occhi quella luce che non ho fotografato.

E non si può continuare a rimandare a domani una bellezza che possiamo goderci oggi, perchè, per adesso, la ricetta della vita eterna non l'ho ancora trovata.

lunedì 3 settembre 2007

Il Guardiano della Soglia












...oltre la catena serrata

di monti altissimi

che nasconde all'occhio umano

la Città di Dio”

Giuliano Kremmerz









Tornai stanco della giornata appena conclusa e il rassicurante rumore della porta di casa che si chiudeva dietro di me metteva in qualche modo una ferma barriera tra quello che era la frenesia in un certo modo assurda del mondo di fuori e una certa calma, una certa tranquillità che stava diventando il mio, di mondo.


Non accesi la luce, godendomi in penombra il sottile gioco di luci del balugginio della luna sulla pietra bianca delle case e della strada che filtrava dalla finestra del primo piano, ad illuminare debolmente il marmo della scala che lentamente mi accingevo a salire, pregustando già il sonno ristoratore che stavo desiderando appena sceso dall'auto.


Ma tutta questa sensazione di sicurezza parve vacillare quando si affacciò il ricordo di quello che era successo qualche anno addietro, quello che modificò per sempre il mio modo di sentire le cose, di rapportare le emozioni, di districare la rete del mondo.


La notte era come questa, con una luna piena memorabile.


Il tempo, non quello atmosferico, era strano.


Mi sono sempre interessato di “cose strane”, come eravamo soliti chiamare l'Esoterismo. Fino a studiarlo come un esame universitario, come un teorema di matematica.


La percezione del divino con i sensi. La dominazione del potere dell'universo. La tensione verso la vita eterna.


Se non è questa matematica, ditemelo voi.


Forse, più semplicemente, il tentativo di dare una risposta al “senso della vita” da parte di una comitiva di ventenni, poco interessati, in fondo, alle vicende universitarie, decisamente annoiati dalla pochezza del mondo, alla ricerca di una ragione vera, un qualcosa che fosse nettamente diverso da valori che avevano precedentemente distrutto con la dialettica politica, con le teorie sociologiche, con una buona dose di sensibilità.


Non eravamo ragazzi da night, da discoteche, da club esclusivi. Da firme, da simboli, da decapottabili.


Un certo senso morale, un imperativo categorico ce li aveva fatti abbandonare per presto, alla ricerca di qualcosa di più appagante.


Avevamo tagliato così finemente le ombre delle vite dei nostri genitori, delle persone che ci circondavano, per non renderle, alfine, ai nostri occhi, decisamente vuote, decisamente circolari. E non nel senso metafisico.


Ci sentivamo in grado di emulare perfettamente lo stile di vita medioborghese che ci stavano di fatto tramandando o, meglio, che avrebbero voluto volentieri tramandarci, con i suoi tiepidi successi, con le sue mediocri tristezze, con quel senso di sottile insoddisfazione che la nostra sensibilità leggeva nei volti di chi ci viveva intorno.


E non era la nostra vita.


Ora, ognuno di noi si ritrovò quasi contemporaneamente a ricercare (e trovare) un qualche percorso iniziatico, con tutti i dubbi, con tutte le incertezze che un qualcosa del genere potesse comportare: dal temere di perdere quello che aveva bene o male funzionato fino ad allora, allo stordimento della ragione che avevamo notato nelle sette americane, in un certo esoterismo del sabato pomeriggio (al quale sarebbe stato facile sostituire un buon parrucchiere), al cameratismo economico dei massoni.


Pensavamo agli “incensi di Dior” di certi nostri amici New Age, che vivevano circondandosi di auree e “cose positive” giusto per non accorgersi, in realtà, di essere morti. E da un bel pezzo, anche.


Io, personalmente, guardavo con estrema diffidenza gli incontri di alcuni dei miei amici, dall'improvvisa metamorfosi che essi avevano subito, del cambio radicale dei valori. Anche perchè ad un certo punto sembrava che anch'essi volessero convincersi di stare sulla strada giusta.


La Strada, come la definiva una mia cara amica.


Ma di questo, sarà bene parlarne poi.


In realtà quella notte c'eravamo tutti.


Io tornavo da uno dei miei lunghi viaggi, nel quale s'era perso, per l'ennesima volta, l'amore della mia vita, che in quel momento si chiamava Armida, una longilinea biondina con gli occhi d'ulivo, incantata, più che dalle mie ricerche sull'essenza, da una reale proposta di matrimonio di un sedicente ingegnere.


E fortuna a chi se ne va”, in fondo, pensai.


Oddio, questo lo penso ora, più razionale e sornione, magari, mentre allora me lo dicevo per convincere, in primis, me stesso.


Ma sono ancora preamboli, quasi a cercare di mettere a fuoco quale fosse il mio stato d'animo d'allora (perchè certa razionalità deve essere ingannata, raggirata, addormentata, per ricordare le verità scomode), se davvero uno stato d'animo potesse influenzare quello che ho visto con gli occhi e ho sentito con gli altri sensi. E i sensi allargati. E non solo io.


Tornavo, quindi, da un viaggio, e si erano riuniti intorno a me i miei compagni d'avventura di sempre, Gabriele e Maurizio. E un amore ritrovato, Maria, una donna con con cui, da sempre, c'era una perfetta identità culturale, una grande sensibilità, anche una grande attrazione e, come per tutte le menti complesse, una certa voglia di perfezione.


E per questo, spesso, ci lasciavamo per lunghi periodi, fino a poi ricercarci, in un certo senso delusi dai modelli che il nostro acerbo ego ci imponeva di cercare, speranzoso di trovare in un corpo, in un fascino animale, quello che in realtà solo l'anima profondamente anelava. Ma talmente pazzi che, come un naufrago affamato che trangugia avidamente il pasto del salvataggio si rimette rapidamente in mare, cercavamo nuovi lidi da esplorare, nuovi sentimenti di perfezione per coronare un desiderio che poi avremmo capito, nostra culpa, essere solo capriccio e schiavitù.


Eravamo tornati sulle mie colline.


Ed era quella notte, una notte di dicembre, straordinariamente chiara e limpida. Con la luna imperiosa che illuminava a giorno i fili d'erba ricoperti di brina, che brillavano come diamanti in un prato di ombre e luci, un paesaggio fatto di silenzio, di un dolce freddo, di rimandi all'infinito.


Su quelle colline, dove c'era il vecchio casale abbandonato.


Il casale abbandonato che era l'alcova segreta mia e di Armida. Dove consumavamo i nostri pomeriggi d'amore. Dove ci nascondevamo dal mondo, accompagnati da un po' di focaccia, e talvolta da una bottiglia di buon vino e, stesa una coperta sulla nuda roccia che era il pavimento dell'ultima stanza di quel casolare che altro non era che un immenso corridoio, ci dimenticavamo dei ritmi del mondo di fuori, e vedevamo, dalla porta di quel rifugio ancestrale, lo scorrere delle stagioni sulla collina di fronte.


E prima il bosco era scuro, poi si riempiva d'erba verde e sempre più rigogliosa a far da tappeto agli abeti, per poi riempirsi di laghi rossi di papaveri d'estate, fino a ritornare come il campo di grano sottostante, dorato e maturo. E profumato. Di un profumo così forte che ti annebbia i sensi come una droga.


Eravamo tutti e quattro incantati ad osservare la luna. E ad ascoltare il silenzio.


Io mi allontanai un attimo, a ritrovare quella stanza, l'ultima del casolare, che tanto mi ricordava.


Perchè dell'amore serbiamo il ricordo, sempre, e tendiamo, dopo, a cancellarne la tristezza, la mediocrità, i compromessi di un rapporto ormai finito, per godere del profumo della bellezza di quel grande e splendido equivoco che è spesse volte l'essere innamorati.


La porta della stanza era uno stipite di pietra viva, senza infissi, senza nulla a delimitare l'esterno con l'interno.


Eravamo dei pazzi, in fondo, ad appartarci in un luogo così solitario e così poco protetto.


Ma tant'è, che l'amore è cieco. E pazzo. E non può essere altro che così.


Quella sera la luce era talmente tanta, che un riverbero d'argento si stagliava intorno alla porta, come a definire uno stipite virtuale.


E il buio dentro pareva solido. Più che solido, a dire il vero, lo sentii gommoso: come una parete semipermeabile, una specie di porta nera di gelatina, di gomma, di qualcosa che divideva sensibilmente la calma dell'esterno col buio infinito dell'interno.


Non ero stato mai così attratto e così impaurito al tempo stesso da una simile situazione.


Posai le mani, proprio come fanno i mimi, sulla porta immaginaria.


E sentii il buio.


Lo sentii con le mani: freddo, gelatinoso, avvolgermi le dita, poi le palme, di quella sensazione gommosa di gelo.


Quel muro c'era, c'era davvero, ero portato a credere.


Al solo ricordo, brividi mi percorrono il corpo, inesorabilmente.


Anche ora, nell'apparente tranquillità di quella che reputo una vita diversa.


Affondai ancora le mani, quasi per squarciare quello che sembrava uno di quei velli di pelle che coprivano gli usci di certe case di qualche secolo fa. Feci pressione, e le mani entrarono. Vi entrò anche lo sguardo, sentendo sul viso la sensazione del buio.


E risentii ancora di più l'essenza materica del buio: è come un velo, una presenza statica. Una pressione fisica che senti addosso, sulla pelle. Da provare, semplicemente, se non si ha niente da fare. Ma nel mio caso non fu così piacevole.


Dopo aver squarciato quel velo, provai la sensazione di essere osservato. Due enormi occhi, simili a quelli di un serpente, si aprirono terrificanti nell'oscurità nera. Una figura alta forse due metri, scheletrica, con la testa che ricordava un pipistrello, le spalle in un certo qual modo possenti, con lunghe braccia che terminavano con mani lunghissime, con lunghe dita e ancor più lunghe e terrificanti unghie.


La figura non proferì parola, né si espresse con altri suoni. Mi comunicò contemporaneamente un senso di terrore, totale terrore, e un quasi un senso di derisione per il mio essere uomo, il mio essere semplicemente mortale.


Non avevo bevuto, né ero e sono solito consumare alcuna droga. E, sinceramente, non credetti ai miei occhi. Ma la sensazione “addosso” era assolutamente reale.


Non proferii parola con i miei amici. E tornai da loro per rimanere in piacevole compagnia di tutta la bellezza che ci circondava. Tranne in quella stanza, in quella terrificante e maledetta stanza.


L'ora si fece tarda, ci riavviammo verso la città. Salutai Maurizio e Gabriele e rimasi in compagnia di Maria.


La sensazione era strana. Mentre parlavo con la donna che aveva accompagnato la mia adolescenza, ripensavo all'addio repentino di Armida, e a quello che accadeva tra di noi, nella stessa stanza in cui avevo visto quella creatura.


E capii ad un certo punto il senso di “derisione”, fortemente collegato all'assenza di Armida.


Ora mi sembrava strano mescolare un evento così drammaticamente strano con una storia d'amore, ma i sentimenti erano quelli.


Stranamente, sentivo pulsare dentro di me una serie di onde d'energia, come se mi sentissi una specie di superuomo, una creatura al confine tra l'umano e il demone.


E in quel momento dirigevo la mia rabbia, tutta terrena, verso chi mi aveva trafitto il cuore. E mentre discutevo con la mia dolce amica, intravedevo il mio sguardo nello specchietto dell'auto... e vedevo non i miei occhi, ma gli occhi gialli e tremendi di quella creatura, e le mani, le mie mani, trasfigurarsi in quegli arti orrendi e mostruosi.


Sentire quel potere era spaventoso e inebriante al tempo stesso. Era come cavalcare un sogno ad occhi aperti, come avere tra le mani la forza del mondo. Sicuramente nera, sicuramente bassa, sicuramente primordiale. Ma quando sei dalla parte dei grandi, non ti interessa perchè combatti. Ad un certo punto sei sicuro di vincere. E questo ti basta.


Il fenomeno, si ripeteva ad intervalli pressochè regolari. E mi chiedevo se stessi sognando o cosa.


Ad un certo punto, incrociai lo sguardo con Maria mentre sentivo quell'energia. Lei si spaventò. Si allontanò e si schiacciò contro lo sportello. Vidi il terrore nei suoi occhi, e, stranamente, ne fui quasi felice.


La parte razionale di me le chiese:


Ma cosa sta succedendo?”


E lei:


Le tue mani... hanno le unghie...”


E scappò via.


I giorni successivi furono strani.


Mi rendevo conto che qualcosa era successo davvero, che non era un sogno, un déjà vù. Un qualcosa che di fatto trasformava la mia visione del mondo da un fondamentale determinismo a un provvidenziale possibilismo.


Tutto poteva accadere.


Ma in tutto questo percorso, iniziato quasi per gioco, non ero più solo: c'era questa presenza ossessionante, tremenda. Questo mostro che mi accompagnava in ogni attimo di solitutine, appena mi distraevo dalle vicende quotidiane e il mio pensiero tendeva a qualcosa di più alto.


Non sapevo chi fosse, cosa fosse, cosa volesse da me. Mi attraeva e mi respingeva. Mi piaceva il potere. Mi terrorizzava il sapere d'essere di fatto sfruttato da qualcosa che si nutriva del mio dolore, della mia ira, della mia delusione.


Chiamai Armida. Era stata male, malissimo, durante tutta la notte. Ad un certo punto mi sentii in colpa. Ero stato io. Ero stato io? ma che stavo pensando? ma davvero esistevano quelle cose assurde? davvero quello che leggevo forse per pura curiosità intellettuale esisteva realmente?


Che fosse la personificazione di una fantasia, accaduta in un momento di stress non poteva di certo essere. L'avevamo visto in due. E, forse, sentito in tre.


Dovevo capire.


Il pomeriggio del sesto giorno mi vidi con Gabriele. Lui era, negli studi esoterici, ad un certo punto più avanti di me. Stava frequentando la cerchia esterna di un gruppo iniziatico isiaco, di fatto qualcosa di un po' più della religione cattolica. Un po' più intenso della cosidetta “via umida”. La via più comoda e lenta per il raggiungimento dell'eterno: tante vite e un passetto per vita. La “via secca” era quella diretta. Quella che, secondo i saggi, ti avrebbe portato, in questa vita, alla visione materiale del Divino.


Ma questi pensieri erano palliativi. C'era un problema. E serio.


Raccontai l'accaduto. E le teorie fioccavano. Cos'era? forse un eggregoro, una creatura generata dalla forza del pensiero (e nel caso dell'amore e del sesso il pensiero è carico d'energia, e tanta), quindi un giovane cucciolo che si nutriva della stessa nostra energia, squisistamente sessuale, un cucciolo che aggredisce il padrone che non lo nutre più.


E quella cosa era successa.


Decidemmo di tornare in quella stanza. Erano passati sei giorni, e la luna era ancora luminosa.


Durante il viaggio, ci raccontammo tutte le possibili forme di quello che poteva essere. Ricordammo di come gli dei vengono creati da generazioni di preghiere degli uomini, fino a diventare esseri più grandi e intelligenti degli stessi creatori. E finivano per curarsi di loro, proteggerli, farli star bene.


E come quando si entra in una chiesa: l'eggregoro lì presente ti fa star meglio, in cambio della forza generatice dell'onda di una preghiera. E di come questa forza fosse più presente nelle chiese più antiche, che più antico era l'eggregoro, che in quelle moderne, dove la giovinezza della creatura era ancor più limitata dalla freddezza delle moderne costruzioni, agghiaccianti accozzaglie di cemento, vetro e ferro, frutto della fantasia di architetti che dell'essenza divina non avevano neanche il ricordo.


Dopo Gaudì e il suo Tempio, convenimmo, non ci sono più state le grandi cattedrali.


Ma quest'essere era troppo potente. Pareva fosse il drago che scalciava il cavaliere che voleva domarlo.


Era, in un certo qual modo, quello che avrei conosciuto e identificato solo più tardi leggendo Zanoni, un libro del Buwler: il Guardiano della Soglia, un demone a guardia del mondo del sovrumano, dal sinistro e tremendo compito: quello di spaventare i temerari e incauti visitatori che, senza adeguata preparazione, si avventuravano oltre i limiti del reale.


Fino a sedurli con un misterioso “lato oscuro”?...


Semplicemente le energie più negative sono quelle più diffuse, più basse, più inebrianti.


E' più facile sporcare che nettare, pensammo.


Arrivammo al luogo. La notte era tranquilla, tranquilla come quella di qualche giorno prima, che aveva incrinato senza speranza di ritorno la mia concezione del reale.


Entrammo nella stanza, ci sedemmo per terra. Ci rilassammo. Gabriele aveva una torcia, per farci luce.


Gambe incrociate, schiena dritta. Respiro costante e controllato.


Spegnemmo la torcia, e sentimmo di nuovo la cappa del buio scenderci addosso avvolgendoci nel suo molle lenzuolo.


Ad un certo punto, una sensazione di freddo mi percorse la schiena. Alla mia destra, di lì a mezzo metro, avevo Gabriele, ma era come se non ci fosse.


Aprii gli occhi. Era lì, nell'angolo. Era apparso nel tutto il suo orrore.


Mi entrava dentro, come se tra me e lui ci fosse un ponte d'energia.


Mi zittii. E ripetetti tutti quegli esercizi che avevo fatto negli ultimi giorni per scacciare quella sensazione di potere, di forza, che la presenza di quest'essere comportava e accompagnava. E sentivo che mi consumava irreversibilmente.


Non so come, davvero, vinsi io.


Scomparve.


E riapparve la presenza di Gabriele.


Il freddo si era miracolosamente trasformato in una brezza tutto sommato tiepida.


Non ci rivolgemmo parola.


Nella strada tra i campi, attraversò una volpe, davanti a noi.


Gabriele disse:


Ad un certo punto non ti ho sentito più”.


Neanch'io” risposi.


Era andata comunque bene.


Gli eventi si succedettero lenti e rapidi allo stesso tempo. Io tornai con Maria, con tutti i problemi che il nostro rapporto estremamente conflittuale comportava. Ma le gioie dell'amore umano mi avevano fatto dimenticare, in gran parte, quello che era successo. Ad un certo punto era come se avessi, semplicemente, sognato tutto.


Non sapevo se mi fossi rialzato da una caduta della ragione, o fossi precipitato giù da un cielo che stavo conquistando.


Ma non mi interessava.


Nel frattempo Gabriele e gli altri procedevano nei loro studi. Avevano incontrato un “maestro”. Io, personalmente, sentivo una costrizione nel pensare in un certo modo, nell'allonanarmi da quelle che consideravo le mie passioni, per andare incontro ad una realizzazione che, in fondo, non riuscivo pienamente ad intravedere, sebbene ne leggessi gli effetti su coloro che qualche tempo prima avevo considerato miei compagni di vita.


Qualcun altro, semplicemente, mi disse: “Ognuno ha i suoi percorsi. Tu è come se già fossi sulla Strada”.


Ad un certo punto, la comitiva si ruppe, si sciolse. Il “Maestro” aveva fatto esplodere, ad un certo punto, le individualità nella maniera più esasperata. Il sentirsi “sulla Strada” di alcuni, faceva perdere il rispetto verso chi, sulla Via, non c'era. Almeno secondo loro. O secondo i voleri del “Maestro”.


Secondo la scuola esoterica egizia, il discepolo non doveva fare domande, ma seguire il maestro. Ora, il maestro perfetto non esiste, e spesso l'essere veicolo di bellezza porta a pensare che sempre e comunque siamo oracoli del Dio.


Non dovete badare al cantante, diceva qualcuno. E non era neanche maestro. Ed è un difetto di molti.


Ma ci stiamo perdendo.


Come io persi volontariamente Gabriele, Armida, Maurizio e Maria, tutti, tranne Armida, persa nei meandri delle vicissitudini, tutti incantati da questo sedicente quanto sospettoso e infido personaggio.


La vita mi coinvolse con le sue vicissitudini: l'amor borghese, il lavoro, qualche umana passione... finchè il solito bisogno di qualcosa di nuovo si fece irresistibilmente e irrimediabilmente sentire.


Come se una parte di me non sopportasse a lungo andare una serie sempre crescente di mediazioni, di estrema normalità.


Ed esplose. Perchè una certa libertà, una certa ricerca della bellezza non si compra con un mutuo in banca.


E qui la chiave di volta della mia vita. Perchè non è facile spiegare cosa significa sentire dentro la tensione dell'infinito, sentire cosa significa avventurarsi in sentieri non percorsi, i pericoli e i meandri della mente e, sopratutto, della coscienza.


E la difficoltà è fare sì che tutto questo si sposi armoniosamente con le cose che devi fare tutti i giorni per vivere.


Senza essere annullati come quando ti affidi ad una persona che credi un Dio e che poi, magari, finisce arrestata, come un uomo, anzi come un criminale qualsiasi, per chissà quali traffici.


Perchè il potere che deriva dal fascino dell'infinito è grande. E, se quando indichi la luna, il volgo idolatra il dito, forse non è neanche tutta colpa tua.


O avrei potuto, alla fine, riempirmi la vita di cose.


L'azione è nemica del pensiero, si dice.


Riempirmi di gabbie, di scelte, imponendomi semplicemente di non spingermi mai al confine di ognuno dei mondi vivibili. E visibili.


E non vedere mai il limite. Per credere che la piccola felicità è l'unica possibile.


Ma non funziona esattamente così.


Mi resi conto, semplicemente, che abbiamo effettivamente, un'anima, un corpo, una essenza fatta a strati, a compartimenti, a fette.


Una parla direttamente con il divino, l'altra ricorda le epoche e le stagioni. Un'altra ancora s'invola nel turbine delle emozioni, l'ultima resta schiava dei compromessi della terra.


E' che la nostra essenza ad un certo punto della vita manca d'equilibrio. Noi siamo ognuno di questi strati, compartimenti e fette. Siamo portati a viverli, o a subirli, tutti. E lo facciamo tutti, indistintamente dalle scelte di vita, filosofiche o religiose.


Li visitiamo come Dante visita l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso.


Ma manchiamo di memoria.


E dell'Inferno non ci lamentiamo del clima, ma semmai dell'eterna ripetizione dell'errore.


Ora sto facendo esercizi, per la memoria.


Con il leggero sorriso di chi sa, e che al tempo stesso non sa. Perchè più ti avvicini al confine dell'infinto, più il confine si allontana.


E sarà il reale, o l'irreale. Ad affascinarmi ancora. Con parole sempre a metà. Necessariamente a metà.


L'unico modo è ricordare. Perchè l'infinito è fatto di tanti tasselli. Perchè ogni cosa al mondo ha la sua parte di infinito. E le mezze parole si congiungono. Con altre mezze parole. Per formare quelle parole infinite che descrivono concetti che non sono più umani.


Ricordare che non ci sono solo angeli e nuvole, ma demoni e fiamme. E non hanno solo la forma delle incisioni del Dorè, ma sono terreni, e reali. E visibili.


E quei demoni lentamente uccidono il bambino, l'anima bambina, che vede gli angeli nelle nuvole.


Sempre.


E quel bambino lo uccidiamo tutti i giorni. Perchè è intelligente. Perchè è sensibile.


Perchè è sincero.


E noi non sopportiamo più la sincerità.


Perchè sa essere felice.


E noi non sopportiamo più nemmeno la felicità.


Ricordare.


Come un metodo. Perchè, in fondo, fa assai comodo avere negli occhi la felicità e la grandezza di chi parla con l'essenza divina mentre tratti con l'uomo, tuo simile, di umane faccende.


Ricordare.


Come un metodo. Ricordare di avere capacità di mediazione e senso della relatività e dell'umorismo, tutti umani, mentre si discorre del piu', del meno, dell'eterno, dell'immenso, con un qualche Dio.

Questa notte



Questa notte non deve finire mai...



Una delle infinite cose che amo dell'alba davanti casa mia è che il cielo comincia a colorarsi all'orizzonte, e non è una luce netta, ma come se fosse polvere illuminante, che sposta il blu della notte verso quel rosso cupo, e poi rende di mille strati il cielo stesso.



E' una luce surreale, il tempo che si ferma. Dopo che passa l'ultima nota di sonno, dopo che la razionalità stessa, quella, quella è andata a dormire, e resti tu, da solo, con la tua anima che ha qualche chance in piu' di parlarti.



Qualche ora al giorno di questa luce, e saremmo tutti un po' più saggi.



Almeno io.

giovedì 30 agosto 2007

Oggi

Questo è un post personale, della serie: cinque grammi di cazzi miei.



Oggi è andato a farsi benedire l'ultimo briciolo di una parte di me.



Non riesco a parlarne, non serve lamentarmi, non serve cercare le responsabilità. E' successo, e basta. Del resto non vi chiedo di interessarvi alle mie faccende.



Diciamo che lo scrivo qui perchè, almeno, mi ricordo la data.



Oppure perchè mi rendo conto che non riesco a pensare di parlarne con nessuno. Perchè non è il caso.



Mi piace però esaminare quasi  cinicamente il processo chirurgico che sta avvenendo nella mia anima.



Ed era ovvio che accadesse.



Come se dopo tanto dolore, tanti dubbi, una serie di caselle andassero a posto.



Meno male, alla fine.



Sarebbe ridicolo se questo non accadesse. E si ricominciasse a sbagliare, diabolicamente.



Perchè dell'Inferno non spaventa il clima... ma la ripetizione eterna dell'errore.



Il Re è morto. Viva il Re!



Viva.



(Anche se, son sicuro, nuovi mirabolanti errori mi attendono.)