lunedì 3 ottobre 2011

A viver di fiaba

a viver di fiaba




"Scatta un buon negativo e puoi farne quello che vuoi. Se devi aggiustarlo in camera buia, è meglio che cambi mestiere"

(Nino B., il mio maestro alla "bottega" di Fotografia) *



Leggendo i commenti di Celestechiaro mi sono venute in mente alcune cose che, anzichè risposte in linea, che sembrano polemiche che lasciano il tempo che trovano, forse meritano un po' di spazio (così magari uno si diverte a commentare ancor più analiticamente. Oppure può, come il 99 per cento degli internauti, slumacarsi su Facebook).



A parte il simpatico paradosso di Zenone, considerando che nè Achille nè la tartaruga sono esseri infinitesimi ma hanno una massa e una dimensione, e che alla fine Achille riesce a farsi la sua zuppa di tartaruga... ho sempre pensato alla fotografia come una necessità espressiva: un mezzo attraverso il quale tagliare la realtà e raccontare un'emozione, un guizzo di vita, una storia. Magari tutt'altra cosa dal soggetto. Perchè ogni cosa ha molteplici significati, come ogni nostra cellula contiene il DNA per creare infiniti cloni di noi stessi.



Io credo nel pensiero laterale, in quella capacità che ha la nostra mente di agire parallelamente e quali autonomamente su vari argomenti: mentre ci si concentra alla guida (senza prendere pali, ovviamente), la mente spazia in analisi e congetture, oppure, e a me funziona sempre, l'idea "globale", la "visione d'insieme" di un qualcosa che sto studiando mi appare all'improvviso "pronta all'uso" mentre distraggo l'altra parte della mente con qualcosa di futile, dalla programmazione, al fotoritocco, al cazzeggio puro sulla rete. (Questa parte è poco didattica).



Ad esempio, oggi, facendo ordine sull'hard disc interno del pc per far spazio al nuovo lavoro in corso, ho ritrovato questo "buon negativo", scattato durante una gita lo scorso anno. Volevo un po' di scatti che mi dessero le luci del bosco. Ovviamente, il ricordo del bosco che volevo riprodurre era un altro: un pomeriggio di venti anni fa, passato quasi per caso nelle luci basse che balenavano tra le chiome più fitte di un bosco sul Gargano, o, qualche anno più tardi, i chiaroscuri dei miei pomeriggi tra un appuntamento di lavoro e l'altro, in Calabria, ad esplorare la parte "selvaggia" della Statale 106, quella che da Coundufuri Marina si arrampica sull'Aspromonte, col bosco da una parte e il mare dall'altra, e serpeggia per sessanta chilometri fino a Locri, che ti sembra di aver attraversato l'Amazzonia... per la bellezza, la solitudine, la luce... e l'immenso tempo che ci impieghi.



Lì c'era "Visioni" di Alice a tenermi compagnia, a ricordarlo bene.



Ora ho preso uno scatto, ben bilanciato, ho contrastato, ho aggiunto quella luce che mi ricordavo, ho tolto quella parte di cielo che avrebbe dato fiato ad un raggio invece magico e totalizzante, aggiunto qualche barbaglio, un po' di flare... e poi ho discusso col capo della nuova campagna pubblicitaria, proprio bastata sulle dream photo.



Ora, non è che sia venale, per carità...



Però...



E' che spesse volte ho desiderato avere negli occhi stessi una macchina, un obiettivo, una pellicola, per immortalare certi particolari che partono dal "presente e vivo" e arrivano giusto alle "porte dell'infinito".



Ho avuto la fortuna di ricordare queste emozioni. E di riporovarle ancora quando ho avuto il tempo, la possibilità, la volontà di fermarmi e di fermarle.



L'emozione è unica e molteplice. E a fotografarla, perdonatemi, non si ruba l'anima.



Si condivide l'infinito.



Ciao Giacomino.



[In questa immagine sono "taggate" con la memoria le seguenti foto non fatte: la finestra di Casa Leopardi a Recanati, in gita scolastica dell'88, la Sila Piccola all'altezza di Taverna di Catanzaro nel 1994, il Bosco di Vico del Gargano nel 1996, e una corsa in un posto che non ricordo, ma dovevo avere sei o sette anni, il Giardino dei Gelsi alla Villa della Zia Maria nel 1975, la luce a Castel del Monte, tutte le volte che ci sono stato, un certo bosco in una località imprecisata del Nord della Scozia, nel 2001 - di cui si sono tristemente perse tutte le tracce - la villetta al mare, a San Girolamo, di Zio Gino e Zia Annarella, e quello strano e lunghissimo giardino, e lo Zio che mi toglieva le scarpe e mi faceva giocare con la sabbia nella spiaggia artificiale nel lido di fronte... e diceva a mia madre "e fai giocare il bambino!"... Doveva essere il '74. E già mia madre rompeva professionalmente i cabbasisi al pianeta...]



(*) Una volta un "fotografo" quando ho citato il "maestro che mi ha insegnato a fotografare"... ha storto il naso, adducendo che la fotografia non si impara. L'arte è innata, è vero. Però la dimestichezza col mezzo si impara con la pratica. Tutti siamo teoricamente in grado di fare tutto (tranne alcune aree del PdL, tipo Brunetta, diciamo). Però se quando dovessi vedere un tramonto fossi costretto a leggermi d'un fiato il manuale della Canon farei davvero notte. E poi non s'è imparato come a scuola ("Chi sa, fa. Chi non sa fare, insegna", dicevano i latini). L'avere qualcuno che, come i sacerdoti egizi, si "lascia guardare" mentre lavora, è un gran risparmio di tempo. Il resto, fa i servizi alle prime comunioni a centocinquanta euro, se gli va bene.


martedì 20 settembre 2011

Meglio di qualunque pubblicità

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Senza alcun dubbio, la Vita è meglio di qualunque pubblicità.

Sebbene stiano facendo di tutto per convincerci del contrario.



[Foto di AP, matrimonio di un Amico, Canicattì, 2011]

lunedì 12 settembre 2011

A tempo perso

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C'è stato un momento della mia vita in cui vivevo davvero con la macchina fotografica, quella a pellicola.

Avevo una Pentax P30T manuale, qualche obiettivo, un paio di Metz a torcia, un cavalletto, una Fiat Uno 45, diciannove anni, molto tempo a disposizione e nessuna preoccupazione per il futuro se non i drammi esitenziali tipici dell'età.



Mi piaceva fotografare le persone, discretamente. Usavo le pellicole bianconero ad alta sensibilità, per svanire dietro un teleobiettivo, o ritrarre i piccoli movimenti delle ombre, nelle luci della sera. Adoravo Henri Cartier-Bresson, ed ero convinto che il taglio della fotografia donasse alle persone quell'alone di perfezione che trascende la realtà. Un po' come la musica nella Nausea di Sartre.



Oppure aspettavo che mietessero il grano sulle colline lucane, e poi bruciassero i campi. E l'odore del grano bruciato, di pane, di natura, di ricordi ancestrali: valeva la pena di arrivare fino lì.



C'era pochissimo Photoshop, anzi, per nulla. C'era la ripresa, lo scatto, la composizione, l'esposizione. Avevo un set completo di filtri da applicare PRIMA di scattare una foto.



C'era la camera buia. E il contrasto con la qualità della carta, del viraggio, della mordenzatura. E sapevo calcolare il tempo di stampa giusto guardano il negativo. Come quando si assaggiano gli spaghetti e si pensa: tra venti secondi sono perfetti.



A sapere che mi sarei guadagnato da vivere così, magari, avrei perso meno tempo.



Perchè le cose da cogliere sfuggono. E, spesso, non ritornano più.



Il resto è marketing.


giovedì 8 settembre 2011

Lost in translation

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Domani scatto il servizio istituzionale per la stagione 2012, e oggi con il "Grande Capo" prepariamo il set. Stiamo simulando una sfilata, quindi prospettiva, sfondo, quinte, bianco e nero, e tanto, ma tanto TNT (tessuto non tessuto, per i non addetti ai lavori), che i miei sapienti flash trasformeranno in una autentica passerella. Almeno quelle sono le intenzioni.



"Ndruzzuleisc!!!" grida ad un certo punto il Grande Capo. Ha settantatrè anni, e va ascoltato.



Vi giuro. Io parlo inglese, italiano, gocce di francese (tre, come quelle dello Chanel numero cinque che indossava Marylin per andare a letto).

Volendo anche latino.



Ovviamente, il cozzalo bitontino (che per certi versi mi apre la via alla comprensione del tedesco e ho tutte le gutturali per parlare correttamente l'arabo).



Ma il dialetto stretto di Castellana, un termine così tecnico, subito subito... è fuori d'ogni umana comprensione.



("Ma 'o core sape scrivere?

'O core è analfabeta,

è comm'a nu pùeta ca nun sape cantà.

Se mbroglia... sposta 'e vvirgule...

nu punto ammirativo...

mette nu congiuntivo

addò nun nce 'adda stà...

E tu c' 'o staje a ssèntere

te mbruoglie appriess' a isso,

comme succede spisso...

E addio Felicità!

Eduardo)

 



[Foto di AP, grazie allo stabilizzatore della Canon 60D, e ad un nuovo piacere di tagliare il vero]


giovedì 1 settembre 2011

Pausa pranzo


pausa_pranzo

 



Pausa pranzo. Oggi.



Sono anni che ci passo davanti. E non mi sono mai fermato.



Tre cancelletti, tre lucchetti. Non so quindi per chi o per cosa apriranno mai questo posto.



Dovrebbero aprirlo per la memoria.



Sembra un video di The Final Cut dei Pink Floyd, Waters che ricorda tutti gli orrori della guerra, e i sogni di grandezza infranti.



Cantava: "Tieni duro, John, dobbiamo continuare così!".



Già.



E a voler togliere i cipressi, le bandiere, i cannoni... questo resta.



E questo caldo insopportabile, la luce in perpendicolo.



E sarebbe davvero il caso di impacchettare i fantasmi del passato, gli orrori, gli errori che tornano negli incubi (perchè dura il tormento finchè dura la colpa, diceva Borges), perchè appunto, alla fine, questo resta.



E non c'è manco un fiore.


martedì 24 maggio 2011

Nuove risorse per ricamare

corallinil




Dopo aver dato fondo agli Swarovski...



E' che certe volte uno deve fermarsi, aspettare che le idee gli tornino, prenderla meno sul serio e magari ridere un poco. Anche se non c'è veramente molto da ridere.



Ho proposto lo slogan: COLLEZIONE 2012... LA FINE DEL MONDO...


giovedì 12 maggio 2011

Tentazioni

forchetta

Ci sono i grandi drammi del mondo, le cose inspiegabili che accadono nella nostra vita e, naturalmente, gli "accidenti" o "incidenti", quelle cose che oltre a non sapermi spiegare, non so neanche prevedere.



Ma vogliamo discutere della parmigiana di melanzane?



(Foto AP, forchetta galeotta. La parmigiana di melanzane, come una brava massaia, l'ho preparata ieri sera. Ed è fuori campo. Per poco, troppo poco.)